domenica 13 settembre 2015

Corriere 13.9.15
Immigrati, la lezione americana
di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi


Fra vent’anni, guardando le foto dell’arrivo dei profughi siriani a Monaco, accolti dall’Inno alla Gioia, della colonna di automobili austriache che trasportano altri profughi verso la Germania, della nostra Marina che ha salvato migliaia di persone nel Mediterraneo, penseremo che quello fu il momento in cui nacque l’Europa multietnica.
Come gli Stati Uniti sono una società di immigrati (più o meno recenti), così, piaccia o no, diventerà l’Europa. Al di là del problema dei profughi di guerra, l’Europa attira centinaia di milioni di potenziali immigrati che vivono vicinissimi ai suoi confini, per lo più con livelli di reddito infinitamente più bassi del nostro. Costruire, intorno all’Europa una muraglia, figurativa se non reale, è impossibile: non fermerebbe il flusso, avrebbe solo l’effetto di selezionare i più disperati. Controlli e selezione sì, non muri.
Che cosa ci insegnano gli Stati Uniti? Prima lezione: dal punto di vista economico una società multietnica può funzionare assai bene. Diversità di formazione, cultura, punti di vista, abilità, stimolano l’innovazione e la produttività. Questo vale soprattutto per immigrati con un livello di istruzione relativamente alto, ma non solo. In Italia, per esempio, le «badanti» straniere hanno risolto l’assistenza agli anziani, un problema sempre più centrale nelle nostre vite. Inoltre il livello di istruzione di una popolazione può aumentare, anche rapidamente, con adeguati investimenti in capitale umano, cioè nella scuola e nell’università.
Investimenti che sono certamente piu utili di quelli in ponti o autostrade, come dimostra lo straordinario successo della Corea del Sud. Questo non significa, o non solo, più soldi pubblici: è soprattutto una questione di organizzazione e di merito, come scrivono da tempo Roger Abravanel e Roberto Perotti. La seconda lezione è che la generosità (quella privata, ma anche il welfare pubblico) funziona molto meglio fra persone della stessa nazionalità e cultura. Cioè, siamo più disposti a pagare tasse anche elevate per un welfare generoso (e talvolta sprecone) verso i nostri concittadini nati qui; molto meno se percepiamo che del welfare beneficiano anche gli immigrati (che peraltro pagano anch’essi le tasse). Ci sono due modi per affrontare questo problema: uno è ridimensionare lo stato sociale, limitandolo alle funzioni di base, cancellando i benefici per chi non ne ha bisogno, eliminando privilegi e sprechi, cose che dovremo fare comunque — fra l’altro in Paesi come Italia e Germania che stanno invecchiando rapidamente, un flusso di immigrati giovani renderebbe il nostro welfare più sostenibile. L’altra risposta, odiosa, è discriminare fra nativi ed immigrati, una strada non percorribile, né moralmente, né praticamente.
Infine, i conflitti etnici diventano possibili, per quanto si faccia per evitarli. In Europa potremmo assistere alla crescita di partiti xenofobi, cui potrebbero opporsi partiti etnici, cioè gruppi politici interessati solo a promuovere gli interessi degli immigrati, di questa o quella nazionalità. Ciò renderebbe ingestibile non solo la politica dell’immigrazione ma anche la politica tout court . Un rischio tanto maggiore quanto più marcate sono le differenze culturali e religiose tra nativi e immigrati.
Come affrontare l’immigrazione, non solo quella con cui ci confrontiamo oggi, prodotta dalla crisi profughi, sarà il problema di gran lunga piu difficile che l’Europa e l’Italia dovranno affrontare nei prossimi anni. Non illudiamoci: come insegna l’esperienza americana sarà una strada piena di ostacoli, con passi avanti e fallimenti. Dobbiamo riuscire ad attrarre non solo individui con basso livello di capitale umano, ma anche persone più istruite e produttive. Ma non arriveranno solo immigrati con molti anni di istruzione alle spalle. Dovremo quindi fare uno sforzo per inserire loro e i loro figli nella scuola e nelle università in modo da aumentarne rapidamente il capitale umano. Dagli immigrati dobbiamo esigere il rispetto assoluto delle leggi: Germania, Gran Bretagna e Svezia, i Paesi europei che hanno le più ampie popolazioni immigrate (8% della popolazione in Germania e Gran Bretagna, 10 per cento in Svezia, a fronte del nostro 6 per cento) ci riescono.
Tutto ciò è molto piu facile in un Paese che cresce e che ha un bilancio pubblico in attivo, come la Germania. Ecco un altro motivo per cui far ripartire l’economia è fondamentale. Con un’economia che cresce è molto più facile sostenere la coesione sociale, che invece si perde quando le risorse non crescono e debbono essere spartite fra più persone.