giovedì 10 settembre 2015

Repubblica 10.9.15
L’incontro di due debolezze al tavolo zoppo delle riforme
Il premier sarà disposto a concedere qualcosa alla sua minoranza solo se capirà di non avere i numeri per il sì
di Stefano Folli


QUALSIASI cosa si pensi della riforma del Senato, una cosa è certa: non si avverte nel dibattito pubblico il benché minimo spirito costituente. Si respirano invece diffidenza e tatticismo da una parte e dall’altra. È soprattutto una partita politica, un gioco a rimpiattino dentro il Pd - e ormai non solo - in cui nessuno è sicuro fino in fondo delle proprie carte. In un certo senso è lo scontro fra due debolezze che avrebbero entrambe interesse a un accordo, ma che faticano a individuare quale. Stamane si apre il tavolo che dovrebbe abbozzare una sorta di trattativa fra renziani e anti-renziani. Non riguarda il fatidico articolo 2 (elezione indiretta), ma il complesso di funzioni da attribuire al nuovo Senato. Funzioni che appaiono tuttora insufficienti e nebbiose, specie dopo che la Camera le ha ridimensionate qui e là.
Di sicuro al momento non sembra stia nascendo una specie di Bundesrat italiano, ossia l’equivalente della seconda Camera tedesca dedicata a rappresentare in modo coerente interessi ed esigenze dei “lander”. Quello, come è noto, resta sulla carta l’obiettivo finale: un Senato delle regioni e delle autonomie sul modello di Berlino. Ma la riforma è un po’ un vestito di Arlecchino in cui c’è un solo punto davvero chiaro: il superamento del vecchio bicameralismo paritario, la fiducia al governo che rimane prerogativa di Montecitorio. Con abilità il presidente del Consiglio ha cercato di orientare la discussione con la minoranza del Pd, ossia quel tanto di negoziato che è disposto a concedere, sul tema delle funzioni di Palazzo Madama. Le spine dell’elezione diretta sì o no vengono lasciate per un attimo da parte, quasi in una tacita tregua, e si cerca di recuperare il senso del Senato delle autonomie. Il che significa, almeno nelle intenzioni, rispondere anche agli interrogativi cruciali su quali saranno i compiti istituzionali dei nominati e/o eletti. Può bastare questa apertura di Renzi a soddisfare nel suo complesso la minoranza bersaniana? Probabilmente no, visto che il nodo riproposto in modo costante dai dissidenti rimane l’articolo 2 e l’elezione diretta dei neo-senatori (“come si fa in Spagna e in altri paesi dove pure gli eletti non votano la fiducia al governo” dice Vannino Chiti). Tuttavia Renzi, con i suoi collaboratori parlamentari, da Zanda ad Anna Finocchiaro, ha scelto questa strada per isolare la frangia più intransigente dei contestatori e tentare di recuperare il consenso di qualche senatore più dubbioso. La questione che tocca il punto delle funzioni, infatti, è tutt’altro che secondaria e qualcuno, anche nei ranghi della minoranza, la considera più rilevante dell’elezione diretta. Resta da capire come mai, se le modifiche all’impianto della legge riguardano i compiti del Senato, questo non obbligherebbe a ricominciare da capo tutto il lavoro, mentre se si tocca il solito articolo 2 verrebbe distrutta l’intera tessitura fin qui elaborata da Maria Elena Boschi. In realtà bisogna distinguere la sostanza dei problemi e un certo grado di propaganda che serve per premere sugli indecisi anche sul piano psicologico e non solo politico. Piano piano, con il passare dei giorni e l’intesa su qualche correttivo, potrebbe subentrare un po’ di stanchezza fra i ribelli: è un’ipotesi alla quale a Palazzo Chigi sono affezionati. E poi, nel gioco dei numeri, c’è sempre la speranza che le defezioni nel Ncd siano meno numerose del previsto. Ci si attende molta lealtà da Alfano su questo aspetto. Senza dimenticare che in Forza Italia un gruppetto potrebbe decidere, con il silenzioso beneplacito di Berlusconi, di non partecipare ad alcune votazioni a rischio.
IN ogni caso, il negoziato dentro il Pd è per ora vago e il premier-segretario pensa ancora di risolvere la partita pagando il minor prezzo possibile alla minoranza. Il suo temperamento lo porta a non deflettere e se alla fine concederà qualcosa di sostanziale ai suoi avversari, sarà solo se e quando, numeri alla mano, dovesse convincersi di non avere la maggioranza.