martedì 8 settembre 2015

La Stampa TuttoLibri 5.9.15
Quando le ateniesi scoprirono l’arma del sesso
Mentre la città assiste alla prima della Lisistrata due giovani vengono brutalmente violentate: un affresco crudo e avvincente della Grecia nel 411 a. C. con le donne che combattono per la giustizia e la democrazia contro gli oligarchi
di Mirella Serri


«La Grecia antica sembra molto lontana, ma non è così. E’ stata il laboratorio delle più scottanti questioni politiche che ancora adesso dominano lo scenario internazionale, dalla gestione della democrazia ai governi dittatoriali. Al tempo della guerra del Peloponneso si protestava contro gli oligarchi ateniesi e ora, analogamente, lo scontro avviene con i vertici della finanza internazionale. Nel mondo classico Atene era il cuore dell’Impero, forte e straricca. Attualmente proprio la piccola e marginale patria di Alexis Tsipras ha infastidito e messo in crisi le capitali mondiali in cui si concentrano risorse economiche e potere». Grecia di ieri e di oggi: lo storico e narratore Alessandro Barbero, di cui è in uscita l’avvincente romanzo Le Ateniesi, individua nel passato uno specchio della nostra complicata modernità. E lo fa raccontando una vicenda dura e coinvolgente, un terribile abuso sessuale di gruppo che avviene mentre tutta Atene è sugli spalti per assistere alla prima della Lisistrata, la commedia in cui Aristofane, scandalizzando un contesto sociale in cui le donne non avevano alcuna autonomia, immagina una netta presa di posizione femminile di fronte al protrarsi del conflitto.
Medievista per formazione e traditore per vocazione - ha ambientato, per esempio, in epoca napoleonica Bella vita e guerre altrui di mr. Pyle, gentiluomo, con cui ha vinto il premio Strega - l’autore torinese, adesso, si è trasformato in un «viaggiatore incantato» di periodi più remoti. A spingerlo in quest’esplorazione è stata la lettura dei libri di Luciano Canfora e il desiderio di confrontarsi con il «sistema democratico ateniese - spiega Barbero - che assicurava il voto a tutti e offriva anche forme di sussistenza e di reddito garantito per i più poveri». Il prologo delle Ateniesi si apre al suono dei flauti che accompagnano gli spartani in guerra: quella musica ammaliante nella battaglia di Mantinea irretisce e intrappola due opliti ateniesi, Polemone e Trasillo, che finiscono sotto le spade nemiche e vengono feriti ma non a morte. Sette anni dopo l’epico scontro, i due ex combattenti, nonché genitori di due graziose fanciulle, assistono alla rappresentazione della Lisistrata dove le consorti, stanche di essere lasciate sole dai loro mariti, fanno lo sciopero del sesso e occupano l’Acropoli. Grandi protagoniste del romanzo di Barbero, che si svolge alla fine dell’inverno del 411 a.C., sono dunque le donne, al contempo vittime ed eroine.
La violenza sulle due figlie di Polemone e Trasillo si verifica mentre i cittadini di Atene sono a teatro: questa simultaneità degli eventi, l’abuso sessuale e la rivolta femminile, ha un valore simbolico?
«Lo stupro è la manifestazione del profondo disagio degli uomini di fronte al desiderio di emanciparsi delle mogli. Non confondiamo però Lisistrata con le progressiste pacifiste e “di sinistra” dei nostri giorni: l’astinenza tra le lenzuola da lei promossa coincide con il desiderio di pace degli oligarchi che, al contrario della plebe e della gran massa della popolazione, non vedevano nel conflitto un’occasione di guadagno. Nei capitoli in cui narro la rappresentazione teatrale della Lisistrata - che ho personalmente ritradotto dal greco - ho cercato di dar vita alle emozioni degli spettatori, alle urla d’indignazione, ai berci e alle discussioni che accompagnarono lo spettacolo».
Ma il vero e più cruento show si svolge altrove, fuori dal teatro, nella sontuosa magione dove le ragazze, attirate con un inganno, vengono torturate e ridotte in fin di vita da Cimone e dai suoi amici: in queste pagine al lettore sembra di rivivere il massacro compiuto al Circeo dai tre pariolini, esponenti della Roma bene. Era nelle sue intenzioni?
«Ogni generazione conserva la memoria indelebile di qualche eccidio. Mio padre non dimenticò mai la strage di Villarbasse in Piemonte del 1945 in cui dieci persone vennero bastonate e gettate vive in una cisterna. A 16 anni mi s’impresse come un marchio il delitto del Circeo in cui i violentatori erano tali anche per affermare la loro superiorità sociale ed economica».
I ricchi che abusano delle fanciulle sono gli stessi aristocratici che vogliono abbattere le istituzioni democratiche?
«Quello ateniese era un governo del popolo che, è necessario ricordarlo, aveva anche un volto assolutamente spietato. Quando gli abitanti di Melos scelsero di essere neutrali, i combattenti di Atene sgozzarono gli uomini e ridussero in schiavitù donne e bambini. Ho affidato a Crizia, politico, filosofo e scrittore, il compito di organizzare un putsch pacifista con altri nobili riuniti nelle Eterie, le sette segrete che praticavano la lettura di opere poetiche, la pederastia come forma di educazione per i giovani e l’abitudine del simposio esclusivamente maschile».
Nel suo libro i sussulti antidemocratici si risvegliano quando si percepisce una diffusa fragilità. Un altro richiamo alla contemporaneità?
«Mentre scrivevo non pensavo ai nostri giorni più recenti ma al Novecento, all’avvento del fascismo, agli sconvolgimenti dittatoriali che hanno segnato il Sudamerica. Crizia poi diventerà il capo dei Trenta Tiranni e instaurerà il terrore condannando a morte i suoi avversari, cacciando via i meno abbienti dal governo della città, privandoli del voto e di ogni trattamento umano».
In Italia ora, però, non si sente per fortuna alcun tintinnar di sciabole. Cosa ci insegna il mondo classico?
«Stiamo vivendo in un momento di svuotamento e di profonda trasformazione delle istituzioni. La democrazia anche quella moderna è una conquista che non è data una volta per tutte, è instabile e mutevole e va tutelata, questa la lezione dell’antichità, dai soprusi dei più facoltosi e potenti».