La Stampa 8.9.15
Civati e i referendum: Landini firmi
se vuole fermare le riforme di Renzi
No a Italicum e Jobs Act: “Era il programma di Bersani, perché non ci aiuta?”
intervista di Jacopo Iacoboni
Dei referendum di Civati nessuno parla, pochi sanno cosa siano, ma la gente incredibilmente li sta firmando, 150 mila firme finora (incredibilmente per quanto poco se ne parla). I primi due attaccano l’Italicum, per eliminare capilista bloccati e candidature plurime, oppure la legge tout court. Il terzo e il quarto chiedono l’eliminazione delle trivellazioni a mare. Il quinto è contro il decreto Sblocca Italia, la filosofia-cemento e grandi opere. Il sesto e settimo quesito sono diretti contro il Jobs Act (demansionamenti e licenziamenti illegittimi). L’ottavo, su un punto cardine della riforma della scuola, chiede di abrogare il «potere di chiamata del preside-manager». Questi referendum vorrebbero smontare le leggi chiave del renzismo, per poi ricostruire. Si può firmare in tutti i municipi fino al 30 settembre. Civati mentre parliamo sta andando appunto a montare un banchetto al Lido di Venezia, «per raccogliere un po’ di firme al Festival».
Perché questo silenzio, non avete sbagliato qualcosa?
«A sinistra, nei leader politici, c’è un’ostilità che non è mai motivata sul merito dei quesiti, ma sempre sull’ammissibilità, o le modalità della nostra iniziativa».
Che dice la minoranza Pd, Miguel Gotor, o lo stesso Bersani? È vero, è in corso una loro trattativa con Renzi sulla possibilità di modificare la riforma del Senato; ma se non producesse nulla?
«Io infatti mi rivolgo anche a Bersani: i principi dei quesiti sono sostanzialmente quelli su cui era è costruita la sua campagna alle primarie. Per questo parlo innanzitutto e con rispetto a Pierluigi, senza nessuna malizia, questa non è una campagna per far cadere il governo, è un modo per mettere in discussione questo flusso di coscienza di Renzi, per far tornare i cittadini a poter votare».
Bersani cosa le ha risposto?
«Dal mondo bersaniano c’è stato un atteggiamento di grande comprensione, e condivisione, però fatichiamo nei territori anche solo a trovare dei certificatori del Pd, anche nell’area bersaniana. Cioè gente che ci aiuti a raccogliere le firme, al limite anche senza firmare. Chiedo a Bersani: perché non ci date una mano? O firmando, o a raccogliere le firme?».
Accade lo stesso per referendum meno «politici», per esempio il no alle trivelle?
«Il quesito sulle trivelle è di fatto simile ai quesiti che movimenti di tutte le forme chiedono alle regioni, con delle consultazioni alternative. Ma loro si trincerano nella posizione: speriamo che lo stop lo facciano le regioni. Troppo comodo».
E Landini? Ieri ha detto «è importante che la Cgil concluda l’impegno che si era presa a febbraio di coinvolgere tutti gli iscritti anche per arrivare a un referendum abrogativo di quella legge sbagliata». Ma non vi nomina neanche.
«Landini è stato il primo da cui mi sono recato per parlargli di questa iniziativa. Con grande spirito di collaborazione. Lui ha avanzato dubbi perché dice che ci vuole più tempo per creare questo percorso, ma non mi ha mai dato una risposta definitiva. Io gli ripeto un appello: anche con tutte le tue perplessità, firma, aiutaci. Lui disse che era favorevole a tutto quello che nasceva “nello spirito di coalizione”, io se i referendum li avesse presentati lui li avrei firmati di corsa».
La Cgil ha cambiato idea.
«Cgil e Sel un anno fa fecero 4 referendum sul Fiscal Compact, allora non si posero il problema di affrettare troppo i tempi. Nessuno li ha picchiati per non aver raccolto le firme».
Il M5S? Ha firmato Di Battista, che è nel direttorio.
«Secondo me è un segnale utile. Il 13 maggio quando parlai della cosa per la prima volta all’iniziativa pubblica, c’erano anche quelli del M5S, c’era Landini, e nessuno era pregiudizialmente contrario, anzi».
E Sel? Vendola ha fatto un’intervista in cui è palese il problema della prossime amministrative, e delle loro eventuali alleanze col Pd.
«Proprio riuscire a votare un referendum l’anno prossimo costringerebbe Vendola a scelte un po’ più nette, anche sulle alleanze. Io dal Pd sono uscito, ne escano anche loro, che formalmente non ci sono mai entrati».