lunedì 7 settembre 2015

La Stampa 7.9.15
Papale papale: “Federico II è una bestia"
Così Gregorio IX a proposito del sovrano “Stupor mundi”
di Alessandro Barbero


A gennaio di quest’anno, dopo la strage nella sede di Charlie Hébdo a Parigi, papa Francesco fece una dichiarazione che molti giudicarono sconcertante: «Se uno dice una parolaccia contro la mia mamma, gli aspetta un pugno». L’esternazione fu criticata perché poteva sembrare una giustificazione degli assassini; ma molti erano anche sconcertati da un Papa che si esprimeva in modo così irrituale.
Eppure non c’è un unico modo di parlare proprio dei Papi. Nei secoli le parole dei Pontefici sono cambiate così profondamente che se un Papa utilizzasse oggi le stesse espressioni che erano normali non dico nel Medioevo, ma anche soltanto nell’Ottocento, provocherebbe molto più sconcerto dei pugni di papa Bergoglio. Il linguaggio con cui il pastore della Chiesa di Roma si rivolge al mondo nei momenti difficili è sempre stato espressione non solo della sua personalità individuale, ma del posto che la parola della Chiesa occupa nel mondo in quell’epoca.
«Il potere è un furto»
I Papi del Medioevo erano sicuri di sé, sicuri che Dio aveva conferito loro l’autorità suprema sul mondo, e non soltanto l’autorità spirituale, ma il potere politico: imperatori e re dovevano obbedire agli ordini di Roma. Ma poiché era una novità, i Papi si sentivano in dovere di dimostrarla. Affrontando l’argomento, capitava loro di avventurarsi in dichiarazioni di sfiducia nei detentori del potere terreno che non sarebbero sfigurate sotto la penna di Marx o di Proudhon. Scrisse papa Gregorio VII in piena lotta per le investiture: «Chi non sa che i re hanno avuto origine da quelli che, ignorando Dio, con la superbia, le rapine, la perfidia, gli omicidi, alla fine con tutti i delitti, spinti dal principe di questo mondo, il diavolo, hanno preteso di dominare i loro pari, gli uomini, con cieca avidità e intollerabile presunzione?». Non solo la proprietà, insomma, ma anche il potere è un furto, e solo accogliendo umilmente gli ordini della Chiesa i sovrani potevano riscattare l’origine diabolica del loro potere.
«Cosiddetto imperatore»
Una volta dimostrato che tutti dovevano obbedire al Papa, chi non lo faceva, ovviamente, era un eretico, e contro di lui si mobilitavano tutte le risorse di una sontuosa retorica biblica. Annunciando la scomunica dell’imperatore Federico II, papa Gregorio IX nel 1239 cominciava così: «È salita dal mare una bestia piena di parole di bestemmia, formata coi piedi dell’orso, la bocca feroce del leone, le altre membra come il leopardo, che apre la bocca per bestemmiare il nome di Dio. Non dovete stupirvi, tutti voi che ascoltate le bestemmie di questa bestia contro di noi, dato che le stesse bestemmie le rivolge contro il Signore. Ma per resistere alle sue menzogne, osservate bene la testa, il corpo e la coda di questa bestia, Federico cosiddetto imperatore, fabbricante di falsità, senza modestia e senza pudore, incapace di arrossire davanti alla verità», e così via su questo tono. C’è da chiedersi cosa sarebbe successo se i Papi del XX secolo avessero osato adoperare queste parole contro Mussolini e Hitler: forse sarebbe cambiata la storia del mondo.
Un «errore pestilenziale»
Ma la Chiesa del XX secolo veniva da una storia di sconfitte. Sconfitti i Papi medievali dalle nuove monarchie nazionali, sconfitti i Papi del Rinascimento dai riformatori luterani e calvinisti, e soprattutto sconfitti, o assediati, i Papi del Sette e Ottocento da una modernità che non capivano e che scambiavano per un complotto dei malvagi contro di loro. In quest’epoca il tono dei Papi diventa querulo: perché il mondo va così male? Perché gli empi trionfano? Perché ce l’hanno tutti con noi? «Inorridiamo, venerabili fratelli...». Nel 1832, Gregorio XVI nell’enciclica Mirari vos condanna le nefandezze dei tempi moderni, in cui «uomini ribaldi» si fanno beffe di tutto ciò che è sacro: «Le Accademie e le Scuole echeggiano orribilmente di mostruose novità di opinioni», come l’idea che i giusti si possano salvare anche al di fuori della fede cattolica; da questa «perversa opinione» e «errore pestilenziale» scaturisce «quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza». «Errore velenosissimo», questo, che si diffonde a causa di «quella pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita libertà della stampa»; e il Papa si sgomenta davanti alla potenza del nemico: «quella sterminata moltitudine di libri, di opuscoli e di scritti».
La «volontà libera»
Ci vorrà molto tempo perché i Papi smettano di inorridire davanti al mondo moderno e scoprano che la Chiesa ha ancora un ruolo da giocare. Sarà un cammino lento, che li porterà a usare parole come «classi lavoratrici», «questione operaia», «capitale e lavoro», «proletari» (Leone XIII, Rerum novarum, 1891), e poi, più tardi ancora, «essere umano», «persona», «volontà libera», «diritti universali, inviolabili, inalienabili», «servizi sociali», «disoccupazione», «democrazia», «comunità mondiale»: e questo è Giovanni XXIII nella Pacem in terris del 1963, manifesto straordinario d’una Chiesa che non ha più paura delle parole del suo tempo, e le usa, di nuovo, con l’autorevolezza di chi sa di avere qualcosa da dire.
Sono passati altri cinquant’anni da allora, e ci sono stati Papi che - in linea, anche qui, con lo spirito dei tempi - hanno lasciato un’impronta sulla storia più con l’immagine che con le parole; gli storici del futuro ci diranno se con papa Francesco sia cominciata, anche da questo punto di vista, un’epoca nuova.