Corriere 7.9.15
La selva preistorica del Sulcis che diventa legna da ardere Gli ambientalisti «Bruxelles finanzia la tutela di aree come questa, ma qui c’è un ritorno in voti»
Il sindaco: creiamo lavoro. Ma il 63% dei fondi Ue non è stato speso
di Gian Antonio Stella
È meglio spendere i fondi europei o abbattere una foresta «preistorica» per fare pellet? La risposta è ovvia. La giunta d’un paese sardo invece, d’accordo incredibilmente con l’Ente Foreste, ha deciso di dare un po’ di lavoro ai compaesani radendo a zero la selva. Avranno pesato i danni collaterali? «Non abbiamo soldi per questi studi». E i rischi idrogeologici? Uffa...
Siamo a Domusnovas, un centro di seimila anime a una cinquantina di chilometri da Cagliari. Terra di miniere. Dalle quali il paese ebbe qualche decennio d’una certa agiatezza. Finiti nella seconda metà del ‘900. Crisi. Emigrazione. Disoccupazione. Il destino di tutto il Sulcis. Via via più povero nonostante lo Stato abbia cercato di arginare la deriva investendo dal 1996 al 2011, spesso con interventi di puro assistenzialismo, oltre seicento milioni.
Fatto sta che a un certo punto, cinque anni fa, l’allora assessore regionale all’Ambiente (all’Ambiente!) Giorgio Oppi, l’Ente Foreste (un carrozzone regionale con 7.000 dipendenti, pari a 250 mila a livello italiano!) e il sindaco di Domusnovas Angelo Deidda detto Angioletto, hanno deciso di inventarsi lo sfruttamento della foresta demaniale del monte Marganai. E di radere al suolo un primo pezzo di 35 ettari di selva.
Un trauma. Subito denunciato dagli ambientalisti. Ma presto rilanciato con un progetto ancora più radicale: il «ripristino del governo a ceduo e la pianificazione dei futuri tagli» per altri 540 ettari. Pari a dodici volte la superficie della Città del Vaticano. Così da dare lavoro alla cooperativa Mediterranea e a qualche decina di disoccupati. «È solo legnaccia!», spiegherà Angioletto a una riunione dei sindaci del Sulcis finita su YouTube grazie all’oratoria torrenziale (e volgarotta...) del nostro. Insomma, buona solo per fare pellet da ardere.
A quel punto sono saltati su quelli del Grig, l’agguerrito Gruppo d’Intervento Giuridico di Stefano Deliperi: «Fermate tutto, quelle foreste di leccio, corbezzolo, fillirea e macchia alta sono inestimabili». In parallelo, il giornale online Sardiniapost.it , diretto da Giovanni Maria Bellu, iniziava a martellare sull’assurdità di quella scelta irreversibile. Dice tutto il titolo: «L’incredibile missione dell’Ente Foreste: radere al suolo 500 ettari di bosco».
Una lettera dei tre docenti universitari autori del piano di gestione del S.I.C. (Sito Importanza Comunitaria), profondi conoscitori delle aree interessate, e cioè l’agronomo Angelo Aru, il biologo Francesco Aru e il geologo Daniele Tomasi, infatti, lanciava già l’allarme quasi un anno fa. Denunciando il pericolo che il taglio della foresta possa causare «nefaste conseguenze» ambientali. Con «gravi alterazioni» al terreno, un «incremento del ruscellamento e dell’erosione», la «riduzione della capacità ricostituiva della copertura vegetale», la «scomparsa di alcune delle specie»...
In pratica, traduce in parole semplici Francesco Aru, «vogliono distruggere uno degli ultimi esempi di foresta mediterranea spontanea cresciuta su rocce vecchie di 680 milioni di anni e sopravvissuto nei mill enni agli errori dell’uomo... Una rarità assoluta». Per capirci: su quel tipo di terreno, una roccia di tipo dolomitico, «per fare un centimetro di suolo ci vogliono mediamente 350 mila anni. Un processo lunghissimo. Se tu hai un tappeto di soli venti o trenta centimetri di terreno il taglio di un albero rappresenta uno stress... Figurarsi un disboscamento come quello progettato!». Il rischio? «Per gli errati utilizzi da parte dell’uomo gli altri boschi simili sono scomparsi. Una volta che butti giù hai il deserto. Con tutto il rispetto per il lieve sollievo dato alla disoccupazione nella zona: vale la pena di distruggere un tesoro ambientale unico?»
Dicono i difensori del disboscamento: lo facevano pure i nostri nonni. Vero, ma non così massicciamente. Un intervento tanto brutale lo fece solo, un secolo e mezzo fa, nel 1856, il conte emiliano Pietro Beltrami. Non a caso ricordato come «l’Attila della Sardegna». Certo, la foresta del Marganai sopravvisse. Ma proprio quegli abbattimenti, dicono gli esperti, hanno reso fragilissimo l’equilibrio. E aumentato i rischi.
Tanto più che, spiegano Stefano Deliperi e Francesco Aru, «l’Europa è disponibile in questi casi a intervenire finanziando la conservazione di aree di particolare interesse. In pratica, con la direttiva Habitat dice: se tu non la tocchi, quella foresta antica miracolosamente sopravvissuta, ti do io i soldi. Facciamo un contratto: quanto vale quel legno all’ettaro? Ti pago il valore di mercato. Se da questa una lecceta puoi ricavare 7.000 euro a ettaro te li do io». E allora perché Comune ed Ente Foreste non scelgono questa alternativa? «Perché qui c’è il ritorno in voti, favori, servizi collaterali...»
Tesi della giunta: relazione sbagliata. «Il nostro territorio l’abbiamo sempre difeso», ha spiegato il vicesindaco Gianpaolo Garau a Sardiniapost.it : «Ogni santo giorno in Comune c’è la processione. Non c’è lavoro, le persone non sanno come andare avanti. Noi dobbiamo dare una risposta». Di quanti occupati parliamo? «Su un taglio di 35 ettari di lecceta, 50/60 persone. Una boccata d’ossigeno per sette/otto mesi, poi per altri sei mesi potranno contare sul sussidio di disoccupazione». «Perché se contestate quei risultati non commissionate uno studio scientifico?». «Gli esperti bisogna pagarli e il Comune non ha soldi, siamo alla disperazione, con i disoccupati che vengono in municipio tutti i giorni. Non possiamo buttare i soldi per gli studi». Testuale. Come se un errore catastrofico non avesse poi conseguenze catastrofiche: desertificazione, frane, disastri ad ogni «bomba d’acqua»...
Nel frattempo, L’Unione Sarda titolava scandalizzata sui fondi europei: «Por e Pac, Sulcis maglia nera: non sa spendere 58 milioni». Sintesi: «Nella provincia più povera d’Italia il 63% dei fondi assegnati non è stato ancora speso...». In compenso, il sindaco Angioletto Deidda e la sua giunta, quelli senza soldi per gli studi, hanno deciso di dare 3.647 euro a un avvocato perché quereli il giornalista Pablo Sole, che da mesi denuncia i rischi del disboscamento. Ha scritto qualcosa di falso? No, dice la delibera: ha «messo in cattiva luce l’operato dell’Amministrazione...». Boh...