sabato 5 settembre 2015

La Stampa 5.9.15
La Ue fermi la guerra a Damasco
di Stefano Stefanini


Le strazianti immagini della spiaggia di Bodrum hanno dato la sveglia all’Europa. Finalmente l’Unione Europea penserà seriamente a come gestire rifugiati in fuga e richieste d’asilo. Sbaglierebbe però a trascurarne la causa. Che ha un nome ben preciso: Siria. O la si affronta alla radice o continueremo a subirne le conseguenze, noi europei in prima linea.

Non è troppo presto: il disastro umanitario dilaga da mesi, dalle coste di Lampedusa alla stazione di Budapest, dai reticolati di Calais agli sbarramenti macedoni. Aylan Shenu senza vita, depositato dalla risacca nelle braccia di un poliziotto turco, scuote gli europei dal torpore e, forse, dagli egoismi nazionali. L’Ue – Angela Merkel in testa – dà finalmente segno di riconoscere che la crisi è europea. Malgrado le resistenze di chi crede in un’Unione di onori senza oneri, Bruxelles va verso una condivisione di responsabilità e di quote di asili.
I rifugiati da ridistribuire salirebbero a 160 mila rispetto ai 40 mila dell’originaria proposta Juncker (respinta in giugno). Sempre una goccia d’acqua rispetto alle 800 mila richieste d’asilo attese in Germania e, soprattutto, ai 4 milioni di rifugiati sparsi fra Libano, Giordania e Turchia. Finché la guerra in Siria continua, la pressione delle fughe verso l’Europa non farà che crescere.
Per la criminalità organizzata è diventata un redditizio commercio.
Non tutti i migranti sono rifugiati con fondati motivi di asilo politico. Gestione europea degli arrivi, selezione e interventi contro i trafficanti sono misure indispensabili nel breve termine. Ma un fiume in piena non si sbarra alla foce. Continuerà a debordare a meno di non intervenire a monte: sulla Siria. Di lì viene la massa critica dei rifugiati. Quanto alla Libia, pure importante, specie per l’Italia, è terra di transito e non di provenienza.
La guerra civile in Siria imperversa da oltre quattro anni. La primavera araba di Damasco divenne rapidamente inverno di scontro fra regime alawita (sciita) al potere e maggioranza sunnita della popolazione, con la parte curda che colse l’occasione per cercare di rendersi autonoma. Gli appoggi esterni, del Golfo e dell’Arabia Saudita ai ribelli, dall’Iran e dagli hezbollah libanesi al regime, ne fecero rapidamente una guerra per procura. Dopo la caduta di Saddam Hussein ad opera americana, i paesi arabi sentivano la lunga ombra dell’Iran estendersi sul Golfo. Otto anni dopo la Siria offriva l’occasione per pareggiare i conti con Teheran. Stati Uniti ed europei volevano l’uscita di scena di Assad, responsabile di pesanti repressioni contro i civili, nonché dell’uso di armi chimiche nell’agosto del 2013. Mosca invece lo appoggiava, con ingenti aiuti militari. Paralisi militare e diplomatica.
Entrato in scena nel 2014, l’Isis combatte contro Assad ma è oggetto di bombardamenti da parte di una coalizione americana, occidentale e araba (l’Italia ne fa parte pur non partecipando ad azioni militari). Tutti contro tutti, ma soprattutto un tragico equilibrio di forze e di aiuti esterni che ha incancrenito la guerra, protratto la tragedia umanitaria e costretto milioni di civili alla fuga. La famiglia Shenu veniva da Kobane, la città ai confini della Turchia, per mesi teatro di feroci scontri fra Isis e forze curde.
Difficile se non impossibile rimettere la Siria insieme. Tuttavia quando c’è una forte pressione internazionale per la pace, le soluzioni d’ingegneria diplomatica s’inventano – e s’impongono. Basti pensare alla Bosnia. Reduci e incoraggiati dal successo iraniano, il Segretario di Stato americano, John Kerry e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, tengono già le tenui fila di un dialogo. L’inviato speciale dell’Onu per la Siria è Staffan de Mistura, ex viceministro degli Esteri italiano nel governo Monti. Tre veterani professionisti in campo.
L’Ue non può rimanere assente. L’Europa ha un interesse diretto a che si ponga termine alla sanguinosa ed efferata guerra in Siria. Senza pace a Damasco, i rifugiati siriani, in numero sempre maggiore, continueranno a tentare la sorte verso i lidi italiani e greci, attraverso le montagne e pianure dei Balcani.