Corriere 5.9.15
La grande spaccatura
Da una parte i «duri» britannici e le «fortezze» dell’Est dall’altra Italia e Germania e i «moderati» scandinavi
La mappa della nuova frattura
di Luigi Offeddu
Il popolo europeo più ospitale verso gli immigrati non vive nell’Unione Europea: in Islanda, 120mila abitanti, Paese cui Bruxelles domanda di accettare 50 richiedenti asilo, già 12mila persone hanno chiesto al governo di poter ospitare personalmente i profughi siriani, offrendo le loro case.
Di queste contraddizioni è fatto il dramma di 28 governi che si sono autobattezzati Unione, ma che ora sono chiamati a dimostrare di esserlo davvero: si potrebbe compilare un elenco lungo come il Regolamento di Dublino, il terzo, rimodellato appena qualche settimana fa e già pronto al suo funerale guidato dai Paesi più importanti. Quest’ultima è già una bella contraddizione. Ma poi c’è il resto: tutti chiedono oggi con urgenza un sacrosanto diritto d’asilo europeo, ma è dal 1999 che il Ceas («Sistema di asilo comune europeo») sta sulle scrivanie dei leader Ue, in attesa di diventare un fatto compiuto. Sedici anni: nel frattempo, 18 Paesi sono stati messi sotto inchiesta dalla Commissione Europea con l’accusa di aver violato, appunto, le regole del diritto d’asilo. E si è festeggiato — il 14 giugno 2015 — il trentesimo compleanno di Schengen, che la stessa Angela Merkel vede in pericolo di morte.
Dal 2014 al 2015, i migranti ai confini dell’Ue si sono triplicati. E mai il caleidoscopio delle regole è stato così frammentato. A cominciare dalle quote obbligatorie di migranti, che la Commissione Europea sta per riproporre su scala molto più vasta di prima. Paesi come la Francia, la Germania e l’Italia, le accettano e le propongono per primi. Altri, come i 4 del «gruppo di Visegrad» — Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria — le hanno appena dichiarate «inaccettabili».
Praga, Bratislava e Budapest, la capitale che ha eretto un muro con la Serbia, sono le fortezze anti migranti della Ue. Anche Sofia, cioé la Bulgaria, che ha foderato di fili spinati il suo confine con la Turchia. Così i Paesi baltici: la Lettonia offre permessi di residenza di 5 anni ma a chi investe almeno 150mila euro in una società e ne paga 25 mila per un visto. Quanto ai profughi dai Paesi in guerra, ha promesso di accoglierne 250 nei prossimi 2 anni, e vi sono state subito proteste di piazza. Ma anche fra le «fortezze», non passa giorno senza uno scarto: poche ore fa, Bratislava e Praga — che aveva numerato 2000 profughi con sgorbi di pennarello — hanno annunciato l’apertura di un «corridoio ferroviario di solidarietà» verso la Germania per i profughi siriani.
Poi ci sono i «duri» come la Polonia, l’Austria, il Regno Unito. Nel 2014 la Polonia ha ricevuto 2.318 richieste d’asilo, per il 34% da profughi ucraini, e ne ha accolto solo 6, più 11 «permessi limitati»: gli altri richiedenti sono in attesa. L’Austria ha dimostrato al Brennero, con i controlli sui treni poi interrotti, come interpreta Schengen. Il Regno Unito, fuori da Schengen, ha annunciato ieri sera che accoglierà «migliaia di profughi siriani». Ma prima di allora, ha minacciato di respingere anche i cittadini Ue senza contratto di lavoro.
A metà strada, in una specie di limbo, stanno Grecia e Spagna. Paesi di prima linea, hanno accolto centinaia di migliaia di migranti, e in via di principio non considerano le norme Ue una carta da parati: ma anche Atene ha eretto il suo muro con la Turchia, e anche a Madrid lo ha fatto nelle sue enclave africane di Ceuta e Melilla. Poi c’è la Francia: ora schierata con Berlino nell’apertura ai profughi, ma prima guardiana dei disperati arroccati sulle scogliere di Ventimiglia, e di quelli di Calais. Ha la porta socchiusa: ma fino al marzo 2014 non accoglieva i profughi ucraini perché classificava la loro terra come «Paese sicuro». Al Nord, i «moderati» scandinavi: come la Svezia, che ha in proporzione più richieste d’asilo della Germania: 8 ogni mille abitanti.
O l’Olanda, già apertissima, che però adesso fornirà tetto e cibo ai profughi in attesa di permesso solo in 5 città. Le vere «porte aperte», nei fatti, restano quelle di Germania e Italia. Anche se Berlino, nelle ore scorse, ha chiesto più controlli sui migranti «economici» di Albania o Macedonia, i nuovi candidati orientali alla Ue. Non trova mai pace, il caleidoscopio sotto assedio delle regole europee.