martedì 22 settembre 2015

La Stampa 22.9.15
Renzi incassa il sì in Direzione
Verso l’accordo con la minoranza
Ma i bersaniani non votano
Il premier sfida Grasso: un fatto inedito riaprire tutto
di Carlo Bertini


«Nel ’95 in Emilia Romagna designarono il candidato alla presidenza della Regione Bersani: quando divenne ministro gli elettori non furono di nuovo chiamati al voto, ma i consiglieri elessero La Forgia». È questo il passaggio chiave della Direzione Pd, quello che può portare a sbloccare l’accordo. Matteo Renzi non va oltre e conferma la sua linea: di elezione diretta dei senatori non si discute, perché c’è già stata una doppia lettura delle due Camere. Ma si può pensare ad una loro «designazione» da parte dei cittadini. Bersani a stretto giro benedice «la significativa apertura» e a fine giornata l’accordo sul Senato più vicino. «Le soluzioni tecniche si trovano. Noi cerchiamo di tenere dentro tutti quelli che ci possono stare, non solo del Pd. Ma senza nessun diktat», avverte Renzi. La Direzione Pd approva all’unanimità la sua relazione, la minoranza non vota, in attesa di vedere le carte: il “parlamentino” Pd segna però un netto passo avanti. La soluzione Tatarella per la selezione dei senatori è quella giusta, dicono infatti Zoggia e Cuperlo. Renzi sceglie di usare carota e bastone, batte il tasto sui risultati di riforme come jobs act e buona scuola. Cita la Grecia per dire che «chi di scissione ferisce, di scissione perisce». «A discutere nel merito ci stiamo, ma se qualcuno usa la Costituzione per porre diktat sappia che non ci fermeremo», chiarisce. Avvertendo che «senza riforme questa legislatura non esiste».
Il pressing su Grasso
È forte il pressing sul presidente del Senato Grasso, «che ha lasciato intendere che potrebbe riaprire a una modifica di una norma già approvata con una lettura doppia conforme. In quel caso sarebbe opportuno convocare una riunione di Camera e Senato, perché saremmo di fronte a un caso inedito». Frase che suscita una levata di scudi delle opposizioni, cui il premier replica subito. «Vendola dice che io avrei minacciato Grasso. Se il presidente del Senato apre sulla doppia conforme è ovvio che dobbiamo fare una riunione dei gruppi Pd di Camere e Senato per ragionare su che cosa fare», precisa Renzi. Che dopo la Direzione, tiene a precisare che «è importante che quella di Grasso sia una scelta in piena e totale autonomia, ma con il rispetto dei tempi perché entro il 15 ottobre la riforma deve essere votata».
Toni distensivi da Bersani
In clima è meno teso nel Pd, dove ormai tutti danno per scontata la tregua, se pur armata, tra le parti. Già in mattinata gli sherpa del Senato provano a stringere i bulloni dell’accordo tecnico. Bersani non va in Direzione e preferisce chiudere la festa dell’Unità di Modena, ma in sala ci sono Speranza e Cuperlo, Epifani, Zoggia e altri della minoranza. Renzi chiama in causa tutti, «un anno e mezzo fa la legislatura era alla fine. Noi abbiamo fatto una mossa ardita, come i giapponesi nella partita del rugby contro il Sudafrica, e c’è stata la svolta. E abbiamo deciso tutti noi qui di cambiare passo, perché alla storiella del golpe di Palazzo a sorpresa non ci credono neanche i bambini». Malgrado tutto, l’ex segretario mezz’ora dopo la fine usa toni assai distensivi. «Sulle scissioni la penso come Renzi»; e sul Senato, «se è così», ovvero se si sancisce l’elettività dei senatori nell’ambito delle elezioni regionali si può andare avanti senza bisogno di Verdini. Vedremo al Senato come verrà tradotta questa indicazione». Il suo colonnello Davide Zoggia si augura quindi che Renzi dia «un mandato politico a Zanda per trovare una soluzione, sarebbe una sorta di designazione che coinvolge di fatto l’elettorato».