martedì 22 settembre 2015

La Stampa 22.9.15
Rimandato lo scontro nel partito
di Federico Geremicca


Ci piacerebbe poter dire che non ci cascheremo più. E che la prossima volta che sentiremo parlare di riforma del bicameralismo, di elezione diretta o indiretta dei senatori e di guerra nel Pd - guerra aspra fino a evocare lo spettro della scissione - cambieremo canale. Del resto, alla luce dello svolgimento della Direzione Pd di ieri - annunciata come la mamma di tutte le rese dei conti - non si capisce perché bisognerebbe dare a questo aspetto della riforma più rilievo (e credibilità) di quanto ieri hanno dimostrato di darne gli avversari interni di Renzi.
Infatti, dopo due settimane assordate dai tamburi di guerra, giunti al punto dei punti e al chiarimento non più rinviabile, i leader della minoranza democratica hanno messo in scena il seguente copione: Pier Lugi Bersani, padre protettore degli oppositori, ha disertato l’appuntamento preferendo un discorso alla festa dell’unità di Modena; Roberto Speranza - leader emergente della minoranza - in Direzione invece c’era ma ha preferito non parlare; Gianni Cuperlo - avversario di Renzi fin dalle primarie - ha svolto un intervento così tenero e dialogante che il premier alla fine lo ha ringraziato; e in conclusione, al momento del voto, tutti fuori dalla sala senza dire né sì né no...
A riunione conclusa, la girandola di dichiarazioni e avvertimenti da parte della minoranza Pd è naturalmente ripresa: «Renzi ha fatto un’apertura - è stato il ritornello -. Vedremo se è una cosa seria, altrimenti...». Lo scontro, dunque, viene posposto di nuovo e annunciato per i prossimi giorni: ma non si capisce che novità attendano, visto che tutto quel che doveva dire - anzi, ripetere - il premier-segretario ieri lo ha detto e ripetuto con disarmante chiarezza.
Punto numero uno: «L’elezione diretta dei senatori non può sussistere», ha spiegato, perchè Camera e Senato hanno già votato due volte un testo che non la prevede e non si può ricominciare tutto da capo. Punto numero due: se il presidente Grasso permettesse di modificare articoli già approvati dal Parlamento in due diverse letture, si sarebbe di fronte a un inedito che chiamerebbe il Pd a nuove decisioni. Punto numero tre: qui non si accettano diktat, a maggior ragione se a pronunciarli è una minoranza del partito. Dulcis in fundo, punto numero quattro: non si può continuare a perder tempo dietro «questioni asfittiche e dettagli secondari». Intendendo con questo, appunto, la disputa sull’elezione diretta o indiretta dei futuri senatori...
Il resto è contorno, con Matteo Renzi che maramaldeggia elencando le riforme fatte e i dati economici che volgono finalmente al positivo, e il povero Alfredo D’Attorre - nei tradizionali panni del kamikaze - impegnatissimo a dimostrare che se le cose cominciano ad andare un po’ meglio non è certo merito del governo presieduto dal suo segretario. Ma contorno, appunto. E una vaghezza circa la conclusione che permetterà a tutti di sostenere di aver vinto: o quantomeno di non aver perso...
Assai più interessanti, paradossalmente, alcune altre questioni affrontate da Renzi tra introduzione e replica. In particolare i toni critici e certo poco diplomatici riservati all’elezione di Jeremy Corbyn alla guida del Labour party, un nuovo riferimento alla possibile flessibilità in materia di pensioni e la strategia di intervento che il governo intende mettere in campo per l’ulteriore riduzione del deficit. Peccato che l’attenzione fosse interamente dedicata ad altro. Uno sforzo vano: visto che sul metodo di elezione dei futuri senatori se ne sa quanto - e forse addirittura meno - di quanto se ne sapeva prima...