martedì 22 settembre 2015

Corriere 22.9.15
Una sfida nel Pd che rischia di logorre anche i vincitori
di Massimo Franco


Matteo Renzi adombra uno scontro istituzionale col presidente del Senato. Addita un’eventuale decisione di Pietro Grasso per rivotare l’articolo 2 come qualcosa di «inedito» che lo obbligherebbe a «convocare Camera e Senato», correggendosi subito dopo: si riferiva, dice, solo ai parlamentari del Pd. E sostiene di non avere minacciato nessuno. Ma Grasso accetta la sfida, invitando esplicitamente il premier a misurare le parole; ricordandogli il dettato costituzionale sulla convocazione dei due rami del Parlamento. La cosa singolare è che il premier e la seconda carica dello Stato sono esponenti del partito-perno dell’esecutivo. Insomma, il Pd continua a scaricare le sue liti sulle istituzioni, mettendole in tensione. Eppure, è probabile che l’esito di questo conflitto finisca con l’approvazione della riforma così com’è. Magari votata da gran parte del Pd con l’aiuto dei transfughi di FI legati a Denis Verdini, e con qualche assenza ad adiuvandum di altri settori dell’opposizione; e tale da legittimare cambiamenti della Costituzione affidati a maggioranze risicate. Ma il problema non è solo quello che accadrà di qui al 15 ottobre, data entro la quale, secondo Renzi, la legge deve passare. La domanda è come si sia arrivati sull’orlo della rottura. Gli angoli polemici si sono acuminati nel vuoto di qualunque vero dialogo. Le riforme sono state un prolungamento della lotta post-congressuale del Pd. Così, sotto la crosta sottile delle concessioni a parole, è spuntato il cemento armato di un’incomprensione dura a morire. Di più: di un’idiosincrasia politica che suggerisce una scissione strisciante, non dichiarata soltanto per motivi di sopravvivenza o di opportunismo. La minoranza del Pd vuole provocare più danni possibile a Renzi, senza formalizzare la rottura. E il presidente del Consiglio punta a piegare gli avversari senza compromessi che lo logorerebbero.
Agisce facendo leva su un’opinione pubblica ansiosa di decisioni e stanca delle liti interne del Pd; accentuando i successi del suo governo; e chiamando a raccolta le istituzioni e gli organi dove la sua prevalenza è schiacciante. I rapporti di forza evocati nella Direzione di ieri del partito sono calibrati su queste convinzioni. E confermano un Renzi deciso a non deflettere da una linea dura: perché probabilmente non può fare altrimenti; e perché è convinto che il vero obiettivo dei suoi nemici non sia un’intesa sul Senato con l’elezione diretta dei parlamentari, ma un attacco al governo. Si capirà nelle prossime ore se qualcuno riuscirà a tirar fuori una mediazione in extremis, e a scongiurare una situazione destinata a rendere la legislatura più precaria.
La sicurezza con la quale Renzi e la sua cerchia di fedelissimi ripetono di avere i numeri per la riforma del Senato, senza aiuti trasversali, è vistosa. E l’impressione è che si stia aprendo qualche crepa tra quanti, nel Pd, sono convinti del contrario. Può darsi, in effetti, che la maggioranza non sia tale, a Palazzo Madama; che abbia meno voti di quelli necessari. Ma bisogna capire anche quanti siano disposti a mettere in crisi il governo guidato dal segretario. Come sempre, il rilancio di Renzi va al di là del merito di una legge controversa: è una sfida da vincere ad ogni costo. Anche a costo di logorarsi vincendo.