Corriere 22.9.15
L’ex magistrato chiede «rispetto» in guerra non si arrivava a tanto
Dopo la rettifica resta l’irritazione e non esclude di riaprire l’articolo 2
di Monica Guerzoni
ROMA Lo scontro istituzionale è stato evitato per un soffio, quando da Palazzo Chigi è arrivata la rettifica. Eppure le parole di Matteo Renzi sulle presunte intenzioni di Pietro Grasso hanno spinto il presidente del Senato ad ammonire il capo del governo, invitandolo a misurare le parole e a rispettare le istituzioni. Segno che, trovato l’accordo nel Pd, adesso il leader dovrà vedersela con l’Aula. E con colui che siede sullo scranno più alto.
A Palazzo Madama sono le cinque della sera quando Grasso ascolta la relazione di Renzi davanti al «parlamentino» del Pd. Con la seconda carica dello Stato, nel suo studio presidenziale, ci sono il portavoce Alessio Pasquini e un altro collaboratore. E quando il premier dice che se Grasso dovesse aprire a modifiche dell’articolo 2 della riforma «si dovrebbero convocare Camera e Senato, perché saremmo di fronte a un fatto inedito», il presidente teme di non aver capito bene e si consulta con i suoi: «Che ha detto? Vuole convocare le Camere?».
Chi era presente racconta che Grasso abbia allargato vistosamente le braccia per esprimere la sua incredulità e sia scoppiato a ridere, concedendosi una battuta, in punto di Costituzione: «Che esagerazione! Nemmeno in caso di guerra Camera e Senato vengono convocate in seduta comune...». E poi, rivelando tutto lo stupore e la divertita sorpresa per l’uscita di Renzi: «Aspettiamo mezz’ora e vedrete che arriverà la solita smentita».
E in effetti, quaranta minuti più tardi, Renzi chiarisce di non aver affatto minacciato Grasso, ma di aver semplicemente detto che — qualora il presidente del Senato decidesse di riaprire un testo già approvato in doppia lettura conforme da entrambe le Camere — sarebbe costretto a riunire i gruppi parlamentari del Pd.
All’ex magistrato il chiarimento non basta. «La rettifica è arrivata, come previsto — commenta Grasso con i collaboratori, senza più il sorriso sulle labbra —. Però un presidente del Consiglio le parole le deve misurare prima, non dopo». E ancora, con una ammonizione che conferma quanto tesi siano i rapporti con il capo del governo: «Le istituzioni vanno rispettate». Concetto che Grasso aveva già espresso in pubblico pochi giorni fa, quando si era trovato a commentare la suggestione (poi smentita dal premier) di voler abolire il Senato e cambiare la destinazione d’uso di Palazzo Madama: «Non si possono relegare le istituzioni in un museo».
Eppure, alla vigilia della presentazione degli emendamenti alla riforma, Pietro Grasso sdrammatizza e fa sapere che quelle di Renzi e dei vertici del Pd «non sono né pressioni né minacce». Non per lui, almeno: «Io ne ho vissute ben altre — ricorda alludendo alla lotta contro la mafia —. E, come sanno bene tutti, non hanno mai influenzato il mio comportamento». Mercoledì gli emendamenti saranno pronti e Grasso ha già detto che renderà nota la sua decisione solo dopo quella data. Davvero, dopo aver letto i giudizi di tanti costituzionalisti favorevoli alla revisione dell’articolo 2, il presidente è pronto a riaprire il vaso di Pandora? «Non fidatevi di chi dice che ho deciso — depista lui —. Renderò nota la mia scelta soltanto nell’Aula del Senato».