La Stampa 21.9.15
Il tracollo del fronte euroscettico
di Stefano Lepri
Il tracollo degli anti-euro è la principale ragione per cui il voto di ieri in Grecia è importante per tutta l’Europa. Gli scissionisti che avevano abbandonato Alexis Tsipras rifiutando l’accordo con i creditori, pronti a tornare alla dracma e a non pagare i debiti, pare non riusciranno nemmeno a entrare in Parlamento.
E sì che la scissione di «Laikì Enòtita» (Unità popolare) era stata dolorosa. Aveva sottratto a Sýriza un deputato su sei tra gli eletti del 25 gennaio scorso, almeno un quarto dei militanti e l’intero movimento giovanile. Ma gli elettori sono andati nella direzione opposta. Hanno apprezzato la scelta responsabile di Tsipras: restare nell’euro anche a prezzo di nuovi sacrifici. L’uscita dall’euro non attrae nemmeno i cittadini del Paese che dalla crisi dell’unione monetaria ha più sofferto, per un misto di errori dell’Europa e dei suoi passati governanti. E’ risultato evidente che avrebbe soltanto accresciuto ancor più la miseria. Gli stessi ideologi di «Unità popolare» a tratti ne parevano coscienti; volevano però correre il rischio come via per uscire dal capitalismo.
La forza politica degli anti-euro, che un anno fa pareva emergere in molte parti d’Europa talora con un volto di estrema sinistra, talvolta di destra, talvolta non si sa come il Movimento 5 stelle, è ora in rapida caduta. L’unico vero fenomeno nuovo a sinistra, Podemos in Spagna, si è schierato con Tsipras, e comunque è sceso ora nei sondaggi al 16-17%, terzo partito.
Detto questo, sia in Grecia sia nel resto dell’area euro restano tutti i problemi di prima. Il governo Tsipras 2 si formerà probabilmente con la stessa maggioranza del Tsipras 1: ovvero con l’appoggio di un piccolo partito della destra nazionalista la cui affinità con i marxisti di Sýriza è difficilissima da comprendere fuori dai confini ellenici.
Ringalluzzito dal successo, il quarantunenne leader ripeterà che quell’accordo lui lo ha firmato ma non ci crede. Tra gli eletti del suo partito vi sono ancora massimalisti che potrebbero rifiutarsi di votare alcune misure. Dal punto di vista dell’Europa, sarebbe stato meglio uno Tsipras con meno deputati, costretto a fare coalizione di governo con i partiti riformisti del centro-sinistra.
Il caso greco resta dunque anomalo. La popolarità di Sýriza anche dopo la scissione poggia assai più sul discredito dei governanti in carica ad Atene negli anni scorsi che sulla credibilità delle sue proposte (vaghissime tra l’altro in questa campagna elettorale). Non sarà facile per l’Europa gestire il seguito della vicenda.
Per tutta l’area euro invece gli eventi dell’estate, dagli sbarchi dei migranti alle nuove incertezze sull’economia mondiale, rendono obsolete molte vecchie regole. Il nostro governo ne sembra cosciente ma invece di proporre una discussione chiara cerca solo di ottenere un trattamento di favore per l’Italia che ci consenta per il 2016 di sfuggire agli obblighi del rigore. Cosicché al nocciolo della questione si arriverà come al solito troppo tardi, forse sotto la spinta di un’altra crisi.