martedì 1 settembre 2015

La Stampa 1.9.15
Luigi XIV
Tre secoli dopo, sulla Francia non tramonta il Re Sole
Il 1° settembre 1715 moriva il sovrano che ha gettato le basi dello Stato attuale
Il biografo: “Ma non ha mai detto L’État c’est moi”
di Leonardo Martinelli


«L’État c’est moi!». Ecco uno dei tanti falsi miti che aleggiano sul Re Sole. «Luigi XIV non ha mai pronunciato quelle parole: eppure lo si ripete così spesso», sottolinea Jean-Christian Petitfils, storico, biografo del sovrano che per 72 lunghi anni fu il padrone della Francia (Le siècle de Louis XIV è il suo ultimo libro, per l’editore Perrin). «Lo Stato sono io!» sarebbe stata la perfetta consacrazione del suo assolutismo. «E invece lui disse “io me ne vado ma lo Stato rimarrà sempre”: voleva distinguere da quello la sua persona». La macchina pubblica e burocratica, potente e accentrata, che aveva creato, è l’eredità più importante lasciata alla Francia di oggi.
Tra malintesi e false verità sul Re Sole, si è detto tutto e il contrario di tutto. E ora, a 300 anni dalla morte, qual è la sua immagine?
«È vero, il personaggio ha diviso a lungo gli storici. Ha avuto ammiratori entusiasti e detrattori accaniti. Nell’Ottocento e anche nel ventesimo secolo la storiografia repubblicana in Francia è stata severa con lui, mentre gli autori monarchici o di destra hanno magnificato la sua opera fino all’esasperazione. Oggi si giudicano Luigi XIV e il suo tempo in maniera più equilibrata».
Da quando gli storici sono diventati più obiettivi?
«Da una trentina d’anni. E stranamente è successo grazie all’influenza di quelli anglosassoni, che in realtà avrebbero avuto tutte le ragioni per criticarlo».
Perché?
«Mi riferisco alle guerre tra la Francia e l’Inghilterra dell’epoca: per questo loro potrebbero essere severi con il Re Sole, come lo sono ancora con Napoleone».
Facciamo un bilancio su Luigi XIV. Cosa fece di buono? Cosa di cattivo?
«Non ci sono dubbi, ha commesso gravi errori politici e morali: le guerre e in particolare quella d’Olanda (1672-78), la devastazione del Palatinato. Poi la persecuzione dei protestanti e la revoca dell’editto di Nantes che accordava loro uno statuto speciale. Questo fu anche un errore di natura economica, perché in quel modo tanti artigiani e professionisti fuggirono in Inghilterra, nelle Province Unite (gli attuali Paesi Bassi) e nel Brandeburgo».
E il Re Sole «buono»?
«Dal punto di vista della Francia, ne ha allargato il territorio (Dunquerque, l’Artois, le Fiandre vallone, l’Alsazia, la Franca Contea, il Roussillon...). E poi ricordiamo il fiorire delle arti e delle lettere sotto il suo regno, lo splendore internazionale del nostro paese. Ci ha lasciato in eredità la reggia di Versailles. E, sotto il Re Sole, Parigi diventò più bella. Non dimentico, ovviamente, la creazione di uno Stato moderno. Il bilancio è globalmente positivo».
Per tanti ha gettato le basi dello Stato francese attuale.
«In effetti fu con il suo regno che nacquero ministeri organizzati, uffici, funzionari impegnati a tempo pieno nel sistema pubblico. La Rivoluzione francese e poi Napoleone non fecero altro che perfezionare e sviluppare le conquiste di quella monarchia amministrativa».
Un episodio poco conosciuto che dice molto del personaggio?
«Il Re Sole amava le parate militari, la gloria, gli assedi, la guerra lenta e maestosa, nella quale comunque prendeva rischi limitati. Era troppo prudente, ad esempio, per rischiare la reputazione in uno scontro armato. Durante la guerra d’Olanda, nel maggio del 1677, vicino a Valenciennes, aveva la vittoria a portata di mano. Poteva contare su forze superiori in numero rispetto al nemico, su un’artiglieria eccellente e una cavalleria sperimentata. Ma, nonostante in quel senso lo spingessero i suoi marescialli, rifiutò di lanciarsi in una battaglia campale contro Guglielmo d’Orange, alla guida delle Province Unite. Diciamolo, Luigi XIV non era Napoleone Bonaparte».
Appunto, che tipo di persona era?
«Un uomo timido, segreto. Parlava poco. Non si infuriava mai. Sapeva essere affabile in società. Di spirito era un po’ lento. Ma compensava con una memoria prodigiosa. Soprattutto, era riuscito a domare il suo carattere. Profondamente emotivo, poteva in realtà ostentare un’insensibilità cruda e ribalda».
È vero che parlava italiano?
«Sì, lo aveva studiato. E amava la cultura italiana. Il suo musicista preferito era Jean-Baptiste Lully, ossia Giovanni Battista Lulli, nato a Firenze. Il pittore che più apprezzava, Francesco Albani. L’arte romana lo affascinava. E fece arrivare navi intere di copie di pezzi antichi, destinate a Versailles. Ma è proprio ai suoi tempi che l’arte classica francese si allontanò da quella italiana. Così si spiega lo smacco subito dal Bernini: il suo progetto per la facciata del Louvre, nel 1665, fu considerato troppo barocco. Il Re Sole disse di no».