sabato 19 settembre 2015

La Stampa 19.9.15
Una tregua che sarà inevitabilmente a termine
di Marcello Sorgi


L’intesa sulla riforma del Senato che era sembrata impossibile per oltre un mese si è materializzata tutt’insieme nella giornata di ieri, benedetta da Renzi e Bersani. L’accordo tra maggioranza e minoranza dovrebbe essere siglato nella direzione di lunedì, aprendo la strada a una rapida approvazione del testo, ma anche a un inevitabile allungamento dei tempi, dato che ad essere modificato sarà il famigerato articolo 2. All’interno del quale, come si sa, forse per una svista, forse per un errore di trascrizione, si era registrata una differenza in una preposizione (un «nei» al posto di un «dai») tra la versione della Camera e quella del Senato, che dovrà essere corretta. E approfittando di questa correzione sarà inserito il principio dell’eleggibilità dei senatori, nel senso che tra i candidati alle regionali i partiti inseriranno un listino di consiglieri destinati a sedere nella Camera Alta.
Parola più, parola meno, è quel che Renzi aveva ventilato prima del grande scontro con la minoranza, conclusosi con l’accelerata dei giorni scorsi e la decisione di portare subito il testo nell’aula del Senato, e poi con le prime votazioni che hanno visto un largo aiuto delle opposizioni al governo, che forse ha convinto la minoranza Pd a riaprire la trattativa con Renzi e ad accettare ciò che prima aveva rifiutato.
Ma al di là del rapido cambiamento di clima, salutato con soddisfazione dal presidente Grasso, e della disponibilità confermata dalle due componenti del partito, oltre a Forza Italia che ha fatto un’apertura, resta un margine di ambiguità nel compromesso che si delinea. Per Renzi, infatti, si tratta di un accordo necessario, che migliora certamente il quadro in cui la riforma passerà il terzo esame da parte del Parlamento, ma che non cambia in nulla la convinzione sul suo diritto di guidare il governo e il partito senza doversi trovare ogni volta di fronte a una resistenza paraostruzionistica della minoranza. Per Bersani e il variegato schieramento di oppositori interni che a lui si richiama, questo è invece un obiettivo a cui tendere, ma che può essere realizzato solo se il segretario inaugurerà una vera gestione unitaria del partito e terrà conto delle obiezioni della minoranza, a cominciare da quelle che sono pronte anche sulla legge di stabilità e sul taglio delle tasse.
In altre parole l’accordo in fieri servirà a far passare la riforma, ma potrà garantirla fino all’approvazione finale solo se Renzi e i suoi oppositori troveranno un nuovo stile di convivenza: cosa di cui è lecito dubitare, conoscendoli.