giovedì 17 settembre 2015

La Stampa 17.9.15
La “grande intesa” ridotta dopo un anno a mercato delle vacche
Urla e citazioni in aula, trattative sottobanco fuori
di Mattia Feltri


Augusto Minzolini - senatore di Forza Italia col grande pregio di portare in giro la faccia di uno che si diverte - quando fuori era scuro e dentro anche di più, ha chiesto al presidente Piero Grasso che sarebbe mai saltato fuori da una riforma nata da trattative da back stage. E cioè: non si cerca la maggioranza in aula trattando sugli emendamenti, ma le si cerca fuori soddisfacendo le ambizioni. Dunque, il mercimonio. Piacesse di più l’espressione: il mercato delle vacche. Che poi le cose stiano davvero così oppure no è difficile stabilirlo, poiché ogni senatore ha da raccontare, con beneficio dell’anonimato e senza l’obbligo del dettaglio, tutto il lavorìo di una parte e dell’altra per spuntare l’ultimo voto. E in effetti la situazione è piuttosto vivace, e il cronista che non andasse in Senato da tredici mesi, e cioè dal giorno in cui, nell’agosto del 2014, la riforma istituzionale fu approvata in prima lettura, non ci capirebbe più nulla. Chi stava di qui ora sta di là. Chi diceva sì ora dice no. Per esempio, un anno fa il capogruppo di Forza Italia, Paolo Romani, spiegava che la riforma era un capolavoro e oggi spiega che è una boiata, e Vincenzo D’Anna, che era nel Gruppo delle autonomie e ora è verdiniano, diceva che era una boiata e oggi è lì lì per dire che è un capolavoro. Infatti, sempre nell’agosto scorso, si era stabilita una funambolica intesa fra D’Anna, oratore entusiasmante con trascorsi berlusconiani, e quei guerrieri non ciceroneschi dei cinque stelle. L’intesa è rovinosamente saltata ieri dopo che il capogruppo grillino, Gianluca Castaldi, aveva aperto la seduta col cuore e il vocabolario in mano: «Mi viene da piangere. Fate schifo. Mi auguro che i miei figli non abbiano al governo persone come voi...». D’Anna, che un tempo avrebbe nobilitato di citazioni filosofiche l’eruzione di Castaldi, si è sentito ferito nell’orgoglio e ha qualificato la prosa del collega: «Sono le parole di un cialtrone». «Vergogna!», gli ha gridato un altro grillino, Giovanni Endrizzi, al che D’Anna si è prodotto in valutazioni strettamente politiche: «Cialtrone! Scostumato! Devi vergognarti tu e quei quattro cialtroni che rappresenti! Cretino matricolato! Deficiente! Deficiente! Deficiente!...». Al ventisettesimo deficiente, il presidente Grasso ha accolto l’obiezione: «Abbiamo compreso, senatore D’Anna...».
La scenetta sollecitava il retroscenetta. E cioè ieri, a Palazzo Chigi per un incontro sulla sicurezza nazionale, il capogruppo Lucio Barani di Ali (cioè il movimento di Denis Verdini) ha rassicurato il premier sulla consistenza del drappello, adesso di tredici senatori e prossimo ai quindici, questione di un paio di giorni. Bravi, avrebbe detto Renzi prima di chiedere ad Angelino Alfano che intendesse dunque fare Ncd, visto che la legge elettorale è anche rivedibile, cosa a cui gli alfaniani tengono parecchio. Ed Ncd sarebbe recuperata. Poi ci sono le questioni personali, il grillino Lello Ciampolillo che possiede tre radio in Puglia ed è inviso ai suoi; il senatore Francesco Amoruso, forzista pronto a passare con Verdini nell’ambito della celeberrima operazione Orizzonte 2018, cioè una serena durata della legislatura che avrebbe convinto il paio di ex grillini che hanno fatto rinascere l’Italia dei Valori e le tre senatrici tosiane, nel senso di ex leghiste fedeli a Flavio Tosi. In questo senso, della conservazione del posto, sarebbero molto responsabilizzati altri senatori berlusconiani, e si fanno i nomi di Antonio Milo, di Lionello Pagnoncelli, di Domenico Auricchio. Nei racconti di corridoio, l’andirivieni è frenetico. E si giura su mirabolanti promesse, fatte soprattutto da Verdini, che andrebbe in giro a dire che ci sono trecento posti di sottobosco, fra presidenze di commissione fino a qualche sottosegretariato, per chi volgesse lo sguardo al suddetto Orizzonte 2018. Ma qui il pettegolezzo rischia di sconfinare nella diffamazione e soprattutto nella fantasia morbosa. E allora semmai pare più solida e meno spericolata l’esposizione di Maurizio Gasparri secondo cui «il vero capo dello Stato e vero segretario del Pd, Giorgio Napolitano, sta telefonando a tutti i dissidenti per richiamarli al dovere davanti alla nazione. Figuriamoci, uno che discuteva con Pietro Ingrao, che problema avrà col senatore Pincopallo».