Avrei potuto ridurre quest’aula sorda e grigia ad un bivacco per i miei manipoli
La Stampa 17.9.15
La minaccia di Renzi
“Abolisco il Senatoe ci faccio un museo”
Il premier attende Grasso e prepara le contromosse: l’alternativa è l’elezione diretta in collegi uninominali
di Carlo Bertini
Il
piano B matura nella war room del premier - di cui fanno parte Lotti,
la Boschi, i capigruppo Zanda e Rosato, pochi fedelissimi del «giglio
magico» - e suona come una minaccia-bomba. Già la mattina prima di
portare a casa il primo tempo, Renzi fa il punto con i suoi: i numeri ci
sono, la fascia oscilla tra i 154 e i 165 voti a favore della riforma;
ma siccome tutto è appeso alla decisione del presidente del Senato, da
cui potrebbe sortire un allungamento a dismisura dei lavori con migliaia
di votazioni, il premier carica l’arma finale: «Se Grasso riapre le
votazioni su tutto l’articolo due, allora si rimette tutto in gioco e
ogni modifica è possibile, pure quella di abolire il Senato del tutto,
come chiedono in molti». Non è solo una battuta: tanto per cominciare se
Grasso dovesse smentire la decisione della Finocchiaro di dichiarare
inammissibili tutti gli emendamenti, se dunque rompesse quello che Renzi
definisce «il principio intoccabile della doppia lettura conforme»
delle due Camere, come conseguenza ci sarebbero le dimissioni della
presidente della prima commissione.
Museo Palazzo Madama
E per far
capire che la minaccia dell’abrogazione del Senato è stata studiata sul
serio, quelli che parlano col premier la argomentano con dovizia di
particolari, perfino con la destinazione finale di Palazzo Madama: che
sarebbe trasformato in «Museo delle Istituzioni della Repubblica», con i
dipendenti trasferiti in altri organi dello Stato. Che si possa
arrivare a sganciare una bomba del genere, pur con la premessa, «non
vogliamo arrivare fin là perché Grasso invece di sicuro chiuderà i
giochi e i numeri ce li abbiamo», lo conferma uno dei senatori più
vicini al premier, «non è solo un deterrente, se serve la bomba si
sgancia, perché tutti, da Bersani alla Lega, hanno detto che allora
sarebbe preferibile abolirlo il Senato. Devono capire che se si riaprono
le votazioni non stiamo lì a cercare un accordino, ma riscriviamo tutto
il testo e poi vediamo...». E siccome le opposizioni potrebbero sempre
insorgere con l’argomento che resterebbe solo una Camera di nominati con
l’Italicum, questa dell’abrogazione del Senato non è la sola
suggestione. Il piano B prevede anche una subordinata meno esplosiva in
termini di messaggio anti-casta, ma non meno indigesta per i partiti:
l’elezione diretta dei cento senatori, ma tutti in collegi uninominali,
quelli già pronti dell’Italicum. Sfide uno contro uno nei territori, con
le forze maggiori, Pd, 5 Stelle e in alcune zone del nord la Lega,
avvantaggiate. E con Forza Italia, Ncd e i piccoli partiti a rischio
zero senatori.
Numeri secondo tempo
«Oggi l’obiettivo era evitare
la melina e andare in aula, abbiamo vinto il primo tempo con uno spread
di oltre 70 voti», è il bilancio a fine giornata di Renzi. Che lunedì in
Direzione legherà il percorso di riforme alla ripresa e non è detto
chiamerà tutti alla conta, «non vogliamo umiliare nessuno, ma ribadire
quanto sia importante questo passaggio per il Paese». Il premier, dopo
aver visto Tosi a tu per tu a Palazzo Chigi, si dispone ad affrontare
invece la vera conta in aula con numeri, nel caso peggiore, quota 154,
di questo tenore: 90 del Pd su 112, quindi 22 voti in meno previsti
dalla minoranza; 27 su 35 di Ncd, otto centristi non sicuri tra cui
Formigoni, Giovanardi, Azzollini; 10 di Verdini, 9 dal Misto e 3
senatrici tosiane, Bisinella, Bellot, Munerato; e 15 su 19 delle
autonomie, senza calcolare i senatori a vita Ciampi, Rubbia, Piano e
Cattaneo.