martedì 15 settembre 2015

La Stampa 15.9.15
Uno spiraglio sull’articolo 2 allargherebbe la fronda nel Pd
di Marcello Sorgi


Difficile pensare che il presidente Mattarella, nel suo incontro di ieri con Renzi, possa aver benedetto il muro contro muro che i supporters del premier continuano a suggerire come unica strada per arrivare all’approvazione della riforma del Senato in terza lettura, senza stravolgerla e dover ricominciare tutto daccapo. Il Capo dello Stato e il premier avevano da fare un largo giro d’orizzonte sulla ripresa politica, a cominciare dalla manovra economica da 27 miliardi e dal taglio delle tasse che il governo si accinge a inserire nella legge di stabilità. Ma al centro del confronto è rimasta anche la difficile partita di Palazzo Madama.
Il punto di partenza, alla base della decisione annunciata due giorni fa e confermata ieri dal sottosegretario Lotti, di non fare concessioni sul ritorno all’eleggibilità dei senatori, sono i dubbi, sempre più forti, che la minoranza Pd non abbia una vera strategia e che l’obiettivo di parte degli oppositori interni sia solo “ammazzare Renzi”, come ha detto il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti. La convinzione è che anche solo uno spiraglio, aperto verso le richieste dei 28 senatori che insistono per emendare l’articolo 2 della riforma, finirebbe con il favorire il rafforzamento di un fronte al momento diviso tra quelli che vogliono andare fino in fondo, a costo perfino di una crisi di governo, e quelli che di fronte a quest’eventualità mollerebbero la presa, valutando semmai dopo la sconfitta se persistono le condizioni di restare dentro al Pd.
Renzi in altre parole continua ad essere sicuro che le ragioni del “sì” siano più forti di quelle del “no” al testo del disegno di legge Boschi, e che, messi alle strette, gli oppositori si dividerebbero, come già s’è visto in questi giorni. Centrale, ovviamente, resta la questione degli emendamenti al famigerato articolo 2: il regolamento del Senato al proposito è chiaro, e dopo due votazioni conformi nelle due Camere, il testo non dovrebbe più essere sottoposto all’esame dell’aula, nè tornare ad essere suscettibile di cambiamenti. Pure la differenza minima nei testi approvati nei due rami del Parlamento (cambia una preposizione, “nei” e “dai”) non dovrebbe essere sufficiente a inficiare una regola consolidata. Questa ė la posizione della presidente della commissione Affari istituzionali, Anna Finocchiaro. E questa, negli auspici di Renzi, dovrebbe essere la decisione finale del presidente del Senato Grasso. Il quale, fino adesso, ha smentito qualsiasi indiscrezione sulle sue convinzioni e ha sperato di poter allontanare da sè l’amaro calice, grazie a un accordo politico interno al Pd che però non s’è trovato.