Corriere 15.9.15
I settanta nomi che decideranno il destino del Senato
Il peso decisivo dei malpancisti sui due fronti I conti frenetici in mano a Lotti
di Monica Guerzoni
Mani libere. Sono in molti a tenersele a Palazzo Madama, ora che la partita finale si avvicina e i senatori ne approfittano per alzare il prezzo. Un magma fluido e rovente di offerte e richieste, promesse e ricatti, doppi giochi e tradimenti, che fa ballare pericolosamente i numeri fino a quota 70 e oltre, quanti sono i senatori «indecisi» con le sorti della legislatura in mano. Nel partito del premier Luca Lotti non si stanca di chiamare i meno ostici tra i senatori dell’ala sinistra. «Solo 4 o 5 voteranno con noi» ha confidato il sottosegretario ai dirigenti dem. Dal granitico blocco dei 30 dissidenti potrebbero staccarsi i senatori Tronti, Manconi, Ruta, Manassero e Martini. Ma il vero pericolo è Ncd. L’ex ministro delle Riforme Quagliariello potrebbe portare l’intero gruppo sulla linea dura: o Italicum, o morte.
«Glielo dico spassionatamente, andrò a votare per ultimo...». Per ultimo, senatore? «Sì, se Renzi deve cadere perché manca il mio voto mi accingerò a sostenere il governo, se invece c’è la sufficienza dei numeri mi permetterò il lusso di essere coerente, bocciando una legge che non mi piace». Il biologo campano (e verdiniano) Vincenzo D’Anna interpreta alla perfezione il vorticoso agitarsi dei senatori sul palcoscenico della riforma che li manderà in pensione e così fotografa lo stato dell’arte a Palazzo Madama: «Questa legge sta diventando lo spartiacque tra chi vuole tenere in piedi Renzi e chi è pronto ad affrontare l’avventura delle elezioni anticipate. Alla base di tutti i teatrini, la partita è questa».
Per capire il «teatrino» a cui D’Anna si riferisce vale la pena iniziare il viaggio proprio dall’Alleanza liberalpopolare messa su da Denis Verdini come scialuppa da lanciare a Renzi, qualora le onde del Senato dovessero impennarsi: nove senatori dell’opposizione pronti a votare sì al ddl Boschi mentre il decimo, D’Anna, si tiene le mani libere. Così fan molti, ora che la partita finale si avvicina e i senatori alzano il prezzo: la leggenda dice che Verdini abbia fatto shopping tra i senatori lasciando balenare «300 posti di sottopotere».
Un magma fluido e rovente di offerte e richieste, promesse e ricatti, doppi giochi e tradimenti, che fa ballare pericolosamente i numeri fino a quota 70 e oltre, quanti sono i senatori «indecisi» che hanno in mano le sorti della legislatura. Maurizio Gasparri, azzurro che la carica di vicepresidente del Senato ha reso assai dialogante, per descrivere i vorticosi contatti tra gli emissari del governo e i gruppi evoca l’immagine di un mercato arabo: «Le riforme non possono essere oggetto di un suk privato tra le correnti del Pd». Nel partito del premier la minoranza tiene il punto, ma Luca Lotti — la calcolatrice del governo — non si stanca di prendere sotto braccio i meno ostici tra i senatori dell’ala sinistra. «Quattro o cinque voteranno con noi» ha confidato il sottosegretario ai dirigenti dem. E dunque dal granitico blocco dei trenta dissidenti potrebbero staccarsi i senatori Tronti, Manconi, Ruta, Manassero e Martini.
Ma la bocca del vulcano, pronto a eruttare se Renzi non accetterà di introdurre il premio di coalizione nella legge elettorale, è l’Ncd. L’ex ministro Gaetano Quagliariello lavora per portare l’intero gruppo sulla linea dura: o Italicum, o morte. Come ha detto agli amici un senatore calabrese «se la riforma costituzionale passa, con questa legge elettorale noi siamo cani randagi senza collare». Immagine forte, che descrive lo stato d’animo di tanti centristi come Gentile, Viceconte, Di Giacomo, D’Ascola, Colucci, terrorizzati all’idea di non tornare in Parlamento. E magari tentati dalla suggestione di far saltare il banco, per andare al voto con il Consultellum.
L’ex presidente del Senato Renato Schifani ha messo in guardia Alfano del pericolo che l’esecutivo sta correndo, visto il grado di arrabbiatura di Sacconi, Giovanardi, Augello... «Renzi non ha i voti, la falla dentro Ncd è più grande di quel che lui immagina» ammonisce Augusto Minzolini. «Se il governo si intestardisce, è chiaro che va sotto» avverte Roberto Formigoni, ricordando a Renzi e ad Alfano che i veri trappoloni si nascondono all’articolo 1 del provvedimento: «Lì si vota a scrutinio segreto e la stragrande maggioranza dei senatori sceglierà di tornare alle funzioni di garanzia». Tra questi ci sono i senatori delle Autonomie, una delle aree filogovernative che gli sherpa di Palazzo Chigi tengono d’occhio con più assiduità, consapevoli che «qualche voto ci può scappare». Il gruppo conta 19 senatori, ma Renzo Piano e Carlo Azeglio Ciampi non vanno in aula da tempo, quindi i voti a disposizione sono 17. Anzi, erano, visto che Elena Cattaneo è sulla linea dell’astensione (che equivale al voto contrario) e che durante una cena prima della pausa estiva gli autonomisti hanno sfogato maldipancia non lievi.
«Se il mio gruppo venisse chiamato a votare il testo uscito dalla Camera avrei grosse difficoltà» ammette il presidente Karl Zeller, che giudica «un errore aver ridotto al lumicino le funzioni». Se verranno ripristinate, bene. Altrimenti i voti in libera uscita potrebbero essere parecchi: «A Lotti, alla Boschi e a Zanda ho detto che non vogliamo creare problemi — racconta Zeller —. Ma se togliete poteri sulle autonomie io non riesco a tenere il gruppo. Già è dura per i senatori autoabolirsi, sapendo che non torneranno in Parlamento...». In questo clima di preoccupazione e frantumazione, è comprensibile che Renzi ragioni in uno schema di maggioranze variabili e che confidi molto sulle assenze strategiche. Quelle degli azzurri che temono le urne come la peste bubbonica, ad esempio.
«Forza Italia deve fare di tutto per sedere al tavolo delle riforme», insiste Altero Matteoli. Lei come voterà? «Come deciderà il mio gruppo», risponde l’ex ministro e avvisa Renzi: «I voti di Verdini potrebbero non bastare». Un chiaro invito al dialogo, per ridurre la quota dei 45 «no» azzurri. Si racconta che il senatore Bernabò Bocca sia «molto amico» di Renzi e che Riccardo Villari non abbia rinunciato al sogno di dirigere l’autorità portuale di Napoli.
La vera posta in palio è il premio di coalizione, nel nome del quale potrebbe saldarsi l’asse trasversale tra FI, minoranza pd e Ap-Ncd. Per dirla con Gasparri, «se Renzi cambia l’Italicum si lubrifica il confronto qui al Senato». Lotti e gli altri cacciatori di teste del governo hanno puntato come terra di conquista anche l’inquieto gruppo Misto. I voti delle tre ex leghiste dialoganti del gruppo Fare!, Bisinella, Bellot e Munerato, potrebbero restare all’opposizione, calamitati dal nascente gruppo di Tosi e Fitto. In compenso il governo ha arruolato i senatori dell’Idv, Romani e Bencini, che a loro volta tentano una paziente opera di proselitismo tra gli ex cinquestelle tentennanti, Orellana e De Pietro. Intanto il siciliano Giuseppe Ruvolo si è messo in cammino: dal Gal all’Ala di Verdini .