martedì 22 settembre 2015

La Repubblica 22.9.15
Eugenio Scalfari lo zibaldone per un altro futuro
Esce oggi il nuovo libro del fondatore di “Repubblica” “L’allegria, il pianto, la vita” è una raccolta di riflessioni, ricordi, citazioni e poesie
Dopo i saggi e i romanzi per la prima volta la scrittura è in forma di diario per registrare non gli eventi, “ma i mutamenti interiori generati dalla realtà”
di Simonetta Fiori


Il futuro compare fin dal principio, in un verso della poesia dedicata al fiume della vita. E la parola ricorre nelle pagine, declinata con l’attesa e l’inquietudine, curiosità del futuro o paura per il futuro, comunque passione per il mondo, anche per quello ignoto che verrà. In un diario scritto da chi si sente «vicino alla fine del viaggio» ci si aspetterebbe ripiegamento, nostalgia, malinconica resa all’ultimo traguardo. Il tempo trascorso, non quello che sarà. E invece Eugenio Scalfari continua a sorprenderci con un nuovo importante libro – per la prima volta in forma di diario – che è sì un confronto aperto con la “Signora nerovestita” ma con il cuore e la testa rivolti alle generazioni prossime.
Memorie personali e riflessioni filosofiche per chi continua il viaggio. L’allegria, il pianto, la vita (Einaudi) può essere letto anche come una sorta di lascito intellettuale e politico d’un testimone di un’epoca già conclusa che però non rinunzia a intercettarne una nuova. Senza accenti apocalittici, anzi con la speranza che la trasmissione della memoria possa un giorno essere riattivata dai quei giovani «audaci, volitivi, creativi» che oggi «immaginano il futuro senza avere il supporto del passato» e un domani forse potranno farvi ricorso. Come in fondo è già successo nella storia.
Ma per immaginare il futuro bisogna avere il coraggio di penetrare la realtà, esercizio coltivato da Scalfari nelle sue molteplici vesti di fondatore di giornali, scrittore, pensatore, saggista di storia, ora anche poeta. E ne è una prova anche questo inedito zibaldone che attinge a depositi di memoria privata e intellettuale in continuo movimento («il passato non è un cimitero») per rispondere alle grandi domande sul senso della vita e della Storia. Amore e potere. Guerra e pace. Quale dei due sentimenti – amore e potere – è quello che fa più girare la ruota dell’esistenza? La natura dell’uomo tende alla guerra o alla pace? Domande di carattere universale che sembrerebbero scaturire — specie la prima — anche da un vissuto esistenziale che però resta fuori dalla pagina.
Amore e potere sono stati i sentimenti prevalenti nella sua vita pubblica e privata, talvolta illuminandosi vicendevolmente nelle distinte sfere, soprattutto nel mestiere di direttore di giornale (che in altre pagine del diario associa al ruolo dei registi e dei direttori d’orchestra, «fanno lo stesso mestiere che per tanti anni ho fatto anch’io, quello di dirigere il lavoro degli altri e realizzare se stessi attraverso gli altri. Sono soprattutto curatori quando non addirittura possessori di anime»). Ma in questa sua nuova passeggiata filosofica Scalfari sembra dimenticare l’autobiografia, concentrandosi su un potere totalmente sprovvisto di amore se non per se stesso. Ed è in questo potere che individua il regolatore supremo della vita associata. Nel potere e nella guerra per ottenerlo. Ma se il potere e la guerra sono le passioni predominanti, la Storia non è più progresso e libertà, non è più razionalità, ma solo caso a vantaggio dei più forti (lo storicismo crociano definitivamente sepolto). E perfino Eros, il Signore dei desideri nume tutelare del suo personalissimo Olimpo, incrudelisce con le parole di Saffo in «dolce amaro indomabile serpente». Metafora della nostra «contrastata vita».
Non c’è una trama lineare e prevedibile, né nella vita né nella storia. Alla verità ci si avvicina per frammenti, perché di “scintille” e “schegge” sono fatti gli uomini, «scintille di divino, di desiderio del potere, di poesia, di amorosità, di concupiscenza, anche di anarchia». Sì, anche di libertà anarchica, ripete l’autore che recupera le sue letture giovanili di Bakunin, elevando la disobbedienza a capacità di sognare, di aspirare al bene comune. Scalfari sembra voler disobbedire soprattutto al presente, all’attuale assetto politico – italiano ed europeo –, alla inadeguatezza delle classi dirigenti e del popolo che le ha scelte. In un confronto con i classici del pensiero politico, da Machiavelli a Mazzini, s’interroga sulla natura del popolo italiano e sui fallimenti delle élite nazionali: le plebi sottomesse si sono mai elevate alla condizione del popolo sovrano? La moltitudine di contadini, “anime morte”, masse inconsapevoli che costituivano la massima parte della società italiana all’epoca dell’unificazione è mai diventata una comunità civile, partecipe della vita pubblica, capace di influenzarne il corso? Solo in parte, risponde Scalfari. Ed è questa incompiutezza che vede deflagrare nella società globale di oggi, nella «plebe incantata dal carisma dei Dulcamara », «pronta a innamorarsi del Narciso altrui e ad avvalersi di quella libera servitù per far trionfare a livelli più bassi il Narciso proprio». Uno spettacolo disperante per chi si è dedicato con intensità politica e culturale alla costruzione dell’assetto democratico e all’educazione civile di quelle masse.
Un’analisi senza possibilità di redenzione? Non proprio. Scalfari resta un protagonista del Novecento che ha eletto la politica – e l’etica – a bussola per l’avvenire. Per quanto sconsolato appaia lo sguardo sulla natura umana, non cede al pozzo profondo della malinconia. Anche questo suo zibaldone è una testimonianza di fiducia nella scrittura e nella sua funzione civile, dunque ancora una volta gesto politico. Allegria e pianto, evoca il titolo. Ma su tutto sembra prevalere il terzo elemento della titolazione, un istinto vitale capace di trasformare la fine in un nuovo inizio, lo sconforto in progetto, la nostalgia in speranza di futuro. È nelle pagine sui dolori privati – tra le più belle e coinvolgenti — che si trova la chiave di questa sua vocazione. Nei lutti famigliari — il padre, la madre, la moglie Simonetta — morte e rinascita come parte di sé. Negli strappi sentimentali poi felicemente ricomposti: Serena, sua compagna da quarant’anni. E soprattutto nei lutti che riguardano la sua vita pubblica. Rivelatore il pianto per la morte di Pannunzio, il padre politico e culturale da cui aveva preso le distanze sempre per ragioni di natura ideale. Una rottura «senza sofferenza né risentimenti», almeno fino alla malattia del fondatore del Mondo : lì accade qualcosa che lo tocca nelle corde più intime, «volevo vederlo e riabbracciarlo prima che il peggio avvenisse». Per la prima volta Scalfari che ha fatto del paterno il suo destino ci mostra il dramma umano di lui figlio che viene tenuto lontano dal capezzale, co- stretto a osservare il corpo malato del padre attraverso uno spiraglio della porta, le sue spalle scosse da un respiro affannato, «un rantolo che mi penetrò a tal punto da scatenare un rantolo mentale». Escluso dalla sua morte, escluso anche dai funerali: «ero stato disconosciuto senza che lui sapesse che esisteva un orfano». Il pianto è per l’uomo ma soprattutto per il capostipite d’una famiglia, quella dei liberali di sinistra, a cui Scalfari continua a restare fedele. E il coccodrillo del padre diventa storia politica, proposito, legame tra passato e futuro. «Lo scrissi senza sentire che lo stavo scrivendo. L’autore di quel ricordo da me firmato non ero io, avevo scritto meccanicamente. L’autore era la storia della cultura politica, era lei ad averlo scritto».
Guardare in avanti, sempre. Anche la fotografia in copertina lo ritrae mentre passeggia con il suo labrador in campagna: in movimento, sicuro di aver fatto la sua parte, di continuare a farla. Mai lasciarsi scoraggiare dalla fine, perché «è legge che tutto ciò che nasce debba morire». Nessuna illusione su Dio, «meravigliosa invenzione degli uomini » per consolarsi della loro finitezza. Entrare nel futuro insieme, possibilmente sulle note di
I’m in the Mood for Love suonata da Louis Armstrong. Solo così il viaggio non finisce.
IL LIBRO
L’allegria, il pianto, la vita di Eugenio Scalfari (Einaudi pagg. 152, euro 18). La foto sopra è di Enrica Scalfari