mercoledì 9 settembre 2015

Il Sole 9.9.15
I nuovi tedeschi
Per dieci anni su Angela Merkel è gravato il sospetto di essere incapace di addolorarsi
Una sindrome che negli anni 60 gli psicologi Alexander e Margarete Mitscherlich attribuivano all’intero popolo tedesco e che consisteva nel non sapersi riconoscere nel dolore delle vittime
di Carlo Bastasin


Per dieci anni su Angela Merkel è gravato il sospetto di essere incapace di addolorarsi
Una sindrome che negli anni 60 gli psicologi Alexander e Margarete Mitscherlich attribuivano all’intero popolo tedesco e che consisteva nel non sapersi riconoscere nel dolore delle vittime.
Avere portato alle lacrime la bambina immigrata di fronte alle telecamere, aver visto nella recessione di gran parte dell’Europa un passaggio necessario di ravvedimento, aver resistito fino all’ultimo a visitare la cittadina di Heidenau in Sassonia dove le case dei rifugiati erano assediate da neonazisti e cittadini comuni, tutto portava chi ama la Germania a pensare che Merkel non fosse una cancelliera all’altezza di Willy Brandt o di Helmut Kohl e dei doveri morali che i suoi predecessori ritenevano spettassero al paese.
Poi il colpo di vento. La maschera che cade e la compassione che prevale: «La Germania è forte, possiamo farcela, apriamo le nostre porte ai profughi siriani». Un gesto di altezza politica così elevata da rendere i Cameron, gli Orban e altri capi di governo europei solo parodie di un potere maschile piatto e inumano. Quello che Horkheimer definiva il popolo più represso del mondo, si è liberato da tempo del freno emotivo e oggi si rivela pronto a costruire un ordine pubblico spontaneo e generoso. Il 60% dei tedeschi che viveva in silenzio e isolatamente il disagio dell’egoismo ha trovato voci e colori.
Non bisogna però illudersi. Nelle stanze della Cancelleria c’è grande preoccupazione. È sufficiente un incidente per rompere l’incantesimo. In Turingia sono già andate in fiamme case di rifugiati, ma anche a Neckargmünd nel Baden Württemberg, così come a Rottenburg. Tra gennaio e luglio 2015 sono stati attaccati 330 edifici che ospitano immigrati. In tutto l’anno precedente erano stati la metà. Nel 2013 erano stati “solo” 50. Movimenti xenofobi si sono estesi da Lipsia fino a Düsseldorf, il partito anti-euro «Alternativa per la Germania» si è rivelato quello che si temeva: un serbatoio di rancori e nostalgie che ora rialza la voce chiedendo la chiusura dei confini e minacciando di nuovo la Cdu da destra. Nei primi anni Novanta, quando la caccia agli immigrati a Hoyerwerda e a Solingen aveva gettato un’ombra sul paese riunificato, un terzo dei tedeschi esprimeva comprensione per gli xenofobi. Le dimensioni dell’ondata migratoria di allora, prevalentemente dai Balcani, erano inferiori a quella prevista oggi. Era un paese in crisi che sentiva la fragilità delle vecchie certezze, del benessere e vedeva minacciata l’inerzia del vecchio modello solidale. Oggi è un paese forte e ordinato. Tuttavia la profonda e dolorosa fase di riforma tra il 1995 e il 2005 ha fatto prevalere una retorica del sacrificio economico tedesco che attribuisce razionalità alla superiorità morale e politica di chi ha successo. Merkel per la prima volta ha fatto coincidere in modo convincente orgoglio e solidarietà.
Spetta alla leadership convogliare la costruttività morale dei cittadini nella scelta pubblica. È una zona d’ombra. Anche la gestione della crisi europea aveva dentro di sé una pretesa morale: la convinzione che gli errori dei greci fossero dovuti alla loro mendacia, all’irresponsabilità, alla corruzione, alla cultura della dipendenza alimentata da sprechi di denaro pubblico. La figura di Schäuble, confinato in carrozzella, ha personificato lo Schmerzenkanzler, il cancelliere del dolore, a cui Merkel fungeva da spalla apatica e apolitica. La morale collettiva si costruisce su una rete di interazioni tra potere e società, tra media e intellettuali che talvolta strumentalizza l’etica degli individui e nella Germania della crisi europea un consenso reso sordo dalla propria stessa forza ha descritto la debolezza degli altri come una loro colpa. Gli appelli anti-euro sottoscritti da centinaia di economisti ed enfatizzati dai media ricordavano il manifesto dell’ottobre 1914 quando 93 intellettuali invocarono la difesa militare della cultura tedesca.
Dopo l’infamia di Heidenau e la scoperta in Austria del camion refrigeratore con 71 corpi di rifugiati, la colpa è entrata nella casa tedesca e non era più identificabile con i deboli. Fino ad allora Merkel riteneva che il suo compito non fosse di identificarsi con i problemi, ma con la loro soluzione. Avrebbe voluto presentarsi al pubblico con una lunga serie di provvedimenti tecnici da far approvare dal governo, per esempio alcune deroghe specifiche alle norme antincendio nelle case rifugio degli immigrati. In effetti una misura utile. Ma la speciale sordità di usare la tecnica al posto della politica, non era più scusabile in una società in cui il linguaggio morale è sempre presente. Pur in ritardo rispetto al suo vice-cancelliere, il leader socialdemocratico Sigmar Gabriel, Merkel infine ha liberato la voce della maggioranza silenziosa. Quella che il presidente Gauck - simbolo dell’Est e pastore evangelico, proprio come il padre della cancelliera - aveva definito la Germania luminosa in contrasto con una Germania oscura. Quanto sia importante per l’Europa il nuovo linguaggio della cancelliera resta da vedere. Merkel ha usato la “clausola di sovranità” degli accordi di Dublino per autodeterminare la scelta tedesca. Non è una nuova posizione europea, se non per la sua esemplarità morale. Non risolverà i problemi dell’immigrazione, ma costringerà gli altri governi a considerare l’opzione dell’apertura. Fa parte della leadership infatti cambiare il linguaggio degli altri. Ma rischia di essere un cambio di preferenze, più che di sostanza. Senza una politica dell’asilo europeo, in linea con l’art. 78 del Trattato europeo, e senza una linea di intervento, decisa in comune, sul fenomeno storico dei diseredati e dei perseguitati, si tratterà pur sempre di un’opzione ostaggio delle preferenze politiche di un solo governo.
Dal dopoguerra, dalla lungimirante offerta di cooperazione francese al nemico sconfitto, la Germania ha trovato nella collaborazione con i partner europei la strada per una politica costruttiva per l’intero continente. La crisi economica ha squilibrato e cristallizzato nuovi rapporti di forza. Ma senza inquadrare il problema siriano in una risposta politica europea ai problemi di tutto il Mediterraneo, senza spostare le frontiere dai confini delle nazioni a quelli dell’intera Europa e senza una strategia geopolitica comune che affronti le cause delle migrazioni, il gesto della cancelliera Merkel resterà vano e forse revocabile. Come in passato, la Germania ha ancora bisogno di una dimensione europea per dar senso all’inaudito atto di generosità di oggi.