mercoledì 9 settembre 2015

Il Sole 9.9.15
Angela l’europea
di Adriana Cerretelli


Raccontano che al principio della crisi greca, Angela Merkel non voleva sentir ragioni: per lei la Grecia poteva andare a fondo e l'euro perdere pezzi e magari anche la vita senza grandi contraccolpi sulla Germania.
Più che la favola buona, la sacra icona da preservare, per il cancelliere venuto dall’Est l’Europa e i suoi problemi erano oggetti incomprensibili, culturalmente estranei e di confusa utilità. Lei l’Unione l’aveva conosciuta dall’altra parte della cortina di ferro, con il filtro della propaganda comunista della Germania di Honecker: una realtà ostile, il braccio armato del nemico capitalista e relativi intrighi.
Molti a Berlino avevano tentato di sensibilizzarla ai suoi pregi. Inutilmente. A un certo punto si decise di chiedere addirittura all’allora presidente della Commissione europea, José Barroso, di provare a conquistarla alla causa con un’approfondita lezione sulle ragion d’essere dell’Europa. Si dice che Barroso sia tornato a Bruxelles sconfortato.
Sono passate le crisi e gli anni. Alla fine è diventato evidente a tutti che i tempi di meditazione e di metabolismo di Angela sono lunghi e compassati ma non immobili. Un giorno si è scoperto che, nella distrazione generale e nel segno dell’apparente calma piatta, era nato un vero leader europeo. Se alla fine la tela dell’euro non è stata strappata e, nonostante a metà luglio tutto fosse pronto per farlo, la Grecia non è stata accompagnata alla porta il merito è tutto della Merkel che ha saputo guardare più lontano, sfidando il suo ministro delle Finanze, la sua opinione pubblica e il Bundestag, tutti sicuri che la moneta unica starebbe meglio senza un paese ritenuto irrecuperabile. Ormai convintasi che euro ed Europa sono un interesse strategico tedesco e una leva irrinunciabile della competitività globale, il cancelliere ha scelto di finanziare a condizioni draconiane il terzo salvataggio di Atene, pagando un costo certo piuttosto che l’oscura fattura di una lacerazione traumatica per l’Unione e la sua tenuta futura.
Il copione si è ripetuto davanti alla valanga dei rifugiati. Travolta da 100.000 arrivi nel solo mese di agosto, 800.000 attesi nell’anno, il quadruplo del 2014, per la seconda volta il cancelliere ha capito prima degli altri la qualità della crisi, che è strutturale e non temporanea, e ha proposto rimedi: no agli istinti protezionistici, deleteri e inefficaci, ma una risposta europea a una questione europea che va molto al di là della semplice contabilità dei numeri.
«Mai come oggi sono intimamente convinta che la nostra risposta deciderà se l’Europa sarà accettata come un continente di valori. Il mondo intero ci guarda. Non possiamo limitarci a dire che la Siria è troppo lontana e non vogliamo occuparcene. La politica europea di asilo deve esistere nei fatti e non sulla carta». In agosto aveva avvertito: «L’emergenza rifugiati occuperà i nostri Governi molto di più di quella greca». Poche frasi, la nuova dottrina europea: quote di ripartizione saranno obbligatorie per tutti, chi non ci sta dovrà contribuire con lo 0,002% del Pil al Fondo per i rifugiati, la solidarietà non sarà un optional per nessuno. Come non lo saranno registrazioni e rimpatri per i non aventi diritto. Ma questo sarà solo un primo passo. Tra l’altro doveroso per la Germania che ha storicamente i nervi scoperti sull’etica del profugo e, con l’inattesa prova di generosità, forse spera anche di scoraggiare i molti sentimenti anti-tedeschi scatenati dal diktat di luglio alla Grecia.
Per governare un problema strutturale che promette flussi crescenti nei prossimi anni però ci vorrà ben altro: pacificazione e aiuti allo sviluppo per i paesi destrutturati e in guerra sull’altra sponda del Mediterraneo e oltre, la fine quindi dell’ignavia europea, il principio di un impegno serio (anche militare?) in Siria e dintorni. Insieme al recupero concreto dei valori europei. In parole povere, ricostruzione di un’identità affondata nei meandri di ipocrisia, egoismi, indifferenza verso l’altro.
Senza un’identità forte e consapevole è infatti impensabile stabilire un dialogo utile e credibile con altre comunità e culture che si preparano a entrare e a vivere nell’Unione. Riempiendo il vuoto di idee e di azione che la circonda nell’Ue, da vero leader europeo la Merkel insomma traccia un programma d’azione collettivo che consenta a tutti, invece di subirne solo i problemi, di cogliere anche tutte le promesse dell’Europa multiculturale che si prepara. Ovviamente lo fa cercando di far coincidere l’interesse tedesco con quello europeo. Come del resto dovrebbero fare tutti i suoi partner, invece troppo spesso assenti. Passate emozioni e commozioni, il cancelliere però sa che non sarà facile far digerire la svolta: nè in Europa, né in Germania né altrove, specie a Est. Ma sa che non c'è scelta: o l’Europa riuscirà a vivere di immigrati o ne sarà schiacciata.