venerdì 4 settembre 2015

Il Sole 4.9.15
Riforme, Bersani attacca Boschi: la maggioranza ci sarà
Le tensioni nel Pd. L’«auspicio» di Zanda: soluzione più vicina
di Barbara Fiammeri


Roma Con il passare dei giorni l’urgenza cresce. La prossima settimana - ha annunciato ieri il ministro delle riforme Maria Elena Boschi - si riunirà il gruppo del Pd al Senato per decidere il destino della riforma costituzionale. Una riunione che potrebbe certificare la rottura del Pd sulla riforma costituzionale.
«Essere democratici non significa avere posizioni unanimi soprattutto in un grande gruppo come il Pd», ha detto Boschi intervenendo alla Festa dell’Unità di Milano. «Se la maggioranza decide - ha aggiunto - questa scelta va rispettata perchè se si fa parte di un gruppo, di un partito si accettano le decisioni della maggioranza». Un’affermazione che le fa dire che in Aula al momento del voto «la maggioranza c’è e ci sarà».
Il rischio che il ddl costituzionale possa superare l’esame del Senato solo grazie ai voti dei «transfughi» dell’opposizione, la definisce «prematura». La scelta di allargare alle opposizione la condivisione delle riforme è stata «politica non dettata dall’esigenza di avere i numeri». Quella scelta Fi poi l’ha rinnegata ma se alcuni senatori come Verdini o altri dovessero votare non c’è alcuno scandalo «perchè l’avevano già fatto». L’obiettivo «per noi - insiste - è che ci sia tutto il Pd» ma questo non al prezzo di «ricominciare da capo». Infine l’ottimismo sullo stato di salute del partito: ««Se votassimo oggi, cosa che non possiamo provare perché fino al 2018 non si vota, il 40% lo supereremmo».
I tentativi di arrivare a un’intesa sono in corso. «Siamo vicini a un risultato positivo», diceva ieri nel primo pomeriggio il capogruppo dem Luigi Zanda. In realtà, l’accordo (il tema centrale resta quello dell’elezione diretta dei senatori) non c’è e come ammette lo stesso Zanda il suo è soprattutto un «auspicio», fondato sulla certezza che «tutti nel Pd hanno a cuore un esito positivo del processo riformatore».
Lo ripete anche Pier Luigi Bersani intervenuto sul palco milanese poco prima della Boschi. «La soluzione si trova», dice l’ex segretario, che però subito dopo bolla come «deformazione della democrazia» il combinato tra la riforma del Senato e l’Italicum. Una conclusione che contribuisce ad alimentare il rischio di una rottura nel Pd nonostante lo stesso Bersani assicuri che «nessuno vuol far cadere il governo» e tantomeno ipotizza una scissione («tre volte mai»).
Il giudizio dell’ex segretario sul Pd renziano però è severo. Tant’è che Bersani condivide parte delle critiche espresse ieri sul Corriere della sera da Massimo D’Alema, che aveva accusato Renzi di aver abbandonato i valori della sinistra ma non i metodi staliniani («oggi i trotzkisti da fucilare vengono chiamati gufi»). «Ha ragione, lo dico con parole mie: c’è un disagio crescente - spiega Bersani che - perché parecchia della nostra gente pensa che la si stia portando dove non vuole andare». Poi l’affondo contro chi «oggi critica D’Alema da pulpiti poco probabili» e anche contro la decisione anticipata da Renzi di voler abolire «per tutti» la tassa sulla prima casa.
Il prologo che accompagna la ripresa dei lavori parlamentari sulla riforma del Senato non è certo incoraggiante. Anche perché di passi avanti veri e propri non ce ne sono. «Renzi da segretario ha il dovere di cercare una sintesi all’interno del suo partito e non con i transfughi della destra», ammonisce Bersani, che invita poi il premier a lasciare margini di manovra al Parlamento perchè «non si è mai visto che su una riforma costituzionale il Governo intervenga pure sulle virgole».
Il tema resta sempre l’intangibilità o meno dell’articolo 2 e quindi l’elettività dei senatori. Ieri una quindicina di senatori della minoranza (28 sono invece quelli che hanno sottoscritto gli emendamenti per ripristinare l’elezione diretta) si sono riuniti a Palazzo Madama per fare il punto della situazione. «Sono molto contento dell’annuncio fatto dal presidente del gruppo del Pd Zanda: sulla riforma costituzionale saremmo vicini a un’intesa. È un desiderio condiviso. Spero che non siano parole al vento ma assunzioni di responsabilità alle quali seguiranno scelte concrete e coerenti».
Qualche indicazione potrebbe arrivare dal discorso che Renzi terrà domenica alla Festa dell’Unità. Non che ci si attenda in quella sede la proposta per superare l’impasse, ma dai toni del premier si capirà se ci sono i margini per raggiungere un’intesa.