domenica 27 settembre 2015

Il Sole 27.9.15
L’esempio di Metropoliz
Negli spazi urbani si gioca la vera partita dell’accoglienza
di Claudia Galimberti


Domenica ore 12, Villa Pamphili, Roma. Nei prati della villa puoi vedere pakistani e indiani giocare a cricket: è una scena che si ripete con naturalezza, senza che nessuno dei romani presenti si chieda che cosa ci fanno degli orientali nei prati. Gli immigrati hanno conquistato gli spazi verdi di giorno, e questo ha un significato preciso. Di notte la città invita a comportamenti diversi, offre vie di fuga da regole non scritte e da convenzioni stabilite. Di sera tanti immigrati cercavano i loro spazi e timidamente provavano a ritrovare alcune delle loro abitudini, balli in sordina, partite di cricket o di basket con canestri improvvisati. Era un tentativo di mettere una “impronta” sul territorio, rivendicare una sorta di sovranità in uno spazio limitato. Ma giocare di giorno vuol dire essere integrati, vuol dire che l’accoglienza ha funzionato, che sono stati inglobati nel tessuto sociale e che possono scambiare le loro abitudini con quelle dei romani. Loro hanno mutuato dai romani l’abitudine di organizzare picnic ricchi dei cibi più vari e in questa contaminazione culinaria passa un netto messaggio di integrazione. Certo non tutto è così trasparente. Dietro una apparente integrazione si possono nascondere elementi pericolosi e bisogna tenere alta la guardia, ma tanti esempi sono confortanti.
Se andiamo sul sito di Italia Lavoro troviamo storie di immigrati legati al programma Relar II (progetto per l’inserimento lavorativo degli extracomunitari). Così Mohammed, libico e Alì, siriano, ambedue in attesa di asilo, hanno iniziato dei tirocini presso uno studio notarile e presso una cooperativa di sostegno a persone disabili. Eppure non sono questi i segnali di una buona integrazione: sono certo importanti da indicare, come sono da segnalare i numerosi imprenditori stranieri, uomini e donne che hanno aperto la loro attività. Possiamo parlare anche di integrazione riuscita dei 14mila medici stranieri che esercitano in Italia e svolgono preziosa opera di mediazione culturale, perché l'immigrazione non è solo quella della povera gente; ci sono anche cervelli in fuga da dittature e povertà.
Ma i segnali della buona integrazione sono sempre più legati agli spazi urbani. A Sesto Fiorentino gli immigrati ospiti sono coinvolti in attività volontarie per la cura della città. Li puoi vedere pulire i fossi, le strade, i giardini, prendersi cura di piccoli spazi e rendersi utili. Questa presenza aiuta l'integrazione, abitua la cittadinanza a vederli all’opera e allontana diffidenza e xenofobia. Perché considerare un diverso da noi non dico come fratello, ma anche come concittadino, non è facile e queste presenze quotidiane aiutano.
A Roma lo spazio Metropoliz è un esempio riuscito di integrazione prima tra immigrati di 10 diverse nazionalità, compresi i rom, e poi tra loro e i cittadini del quartiere Tor Sapienza. Un edificio ora adibito ad abitazione di 200 persone e pochi anni fa sede del salumificio Fiorucci. Ma anche qui si tratta di spazi urbani trasformati e riadattati. Sarebbe bello se i cittadini del mondo potessero trasformarsi, rinascere diversi e integrati, come Metropoliz che nei vari passaggi del restauro ha acquisito un aspetto del tutto nuovo. È uno spazio “meticciato” come alcune pietanze che i meridionali degli anni 50 portavano nel nord Italia, dove l’integrazione è passata anche attraverso pizza, salami piccanti o dolci cannoli.