giovedì 24 settembre 2015

Il Sole 24.9.15
La possibile alleanza tra dollaro e renminbi
di Donato Masciandaro


La visita del presidente cinese Xi Jinping negli Stati Uniti sarà sicuramente occasione per considerare, più o meno ufficialmente, i rapporti tra il dollaro e il renminbi. I due Paesi hanno un problema comune – l’assenza di una bussola monetaria – che alimenta due squilibri: l'eccesso di finanza e l’instabilità valutaria.
Sarebbe nell’interesse di entrambe le nazioni oltre che dell’economia mondiale definire chiare strategie monetarie. L’ostacolo è rappresentato dal fatto che in entrambi i paesi le banche centrali sono fortemente condizionabili dalla politica, per cui hanno difficoltà ad intraprendere politiche monetarie di ampio respiro.
In un momento di forte incertezza sugli sviluppi dell’economia internazionale, che si intreccia con una continua turbolenza sui mercati monetari e finanziari, un incontro tra i vertici di Stati Uniti e Cina dovrebbe essere una occasione preziosa per discutere i rapporti tra l’andamento delle rispettive valute: dollaro e renminbi. Un andamento che oggi è al contempo sempre più rilevante, ma caratterizzato da forti incognite. La rilevanza nasce dal fatto che se il dollaro è oggi la maggiore valuta di riserva del mondo, è anche vero che il renminbi si vuol candidare a prenderne il posto in un futuro non troppo lontano. Il renminbi vuol prima affiancare il quartetto valutario – dollaro, euro, yen e sterlina che oggi viene considerato rappresentare il paniere delle valute di riserve, per poi provare ad assumere una posizione via via crescente, se non dominante.
La ricerca da parte delle autorità cinesi di far assumere al renminbi lo status di valuta di riserva ha motivazioni che sono insieme economiche e politiche. La motivazione economica nasce dal fatto che la moneta è debito dello Stato a tasso zero; chi la detiene lo fa per ragioni diverse da quelle legate al rendimento nominale. Per cui più sono le famiglie e le imprese che vogliono detenere moneta, più lo Stato la potrà emettere, finanziandosi a costo zero. Per cui, quando più il renminbi assume il ruolo di valuta internazionale, tanto più ne aumenta la domanda, aumentando i gradi di libertà delle autorità cinesi nel manovrare il proprio debito a tasso zero.
Certo avere una moneta nazionale che è anche valuta internazionale non è una rosa senza spine. La domanda internazionale della valuta può creare pressioni non compatibili con gli equilibri nazionali: si pensi ad esempio ad una situazione in cui una crescita della domanda internazionale della valuta spinga tassi di cambio e tassi di interesse verso l’alto, in un momento di ristagno economico. Ma agli occhi dei politici – e le autorità cinesi non fanno eccezione – le spine tendono ad essere un costo eventuale e posticipato, mentre la rosa è sicura ed attuale. Per cui, i vantaggi politici di avere una moneta nazionale con lo status di valuta di riserva appaiono maggiori degli eventuali costi economici.
Ma perché il renminbi possa percorrere la rotta che la porti a divenire valuta internazionale occorre che siano attive almeno due bussole monetarie. La prima è legata al rispetto della “regola del trilemma”: in una economia di mercato, la politica monetaria può essere indipendente, se i capitali finanziari sono mobili ed i tassi di cambio flessibili. La Cina ha iniziato questo percorso, e lo scorso undici agosto ha annunziato di voler attuare un cambiamento significativo in tal senso: tassi di cambi sempre più flessibili, meno dirigismo nei movimenti dei capitali. Ma oggi la Cina è ancora in pieno guado: vi è incertezza sui tempi ed i modi in cui la regola del trilemma verrà davvero applicata, e questo zavorra tutto il processo.
Allo stesso modo, occorre che una seconda bussola monetaria guidi la navigazione: perché la politica monetaria sia credibile, occorre che venga messa in atto da una banca centrale indipendente dal governo, che allo stesso modo segua una regola monetaria, rispetto a cui render conto. Qui la Cina è ancor più lontana dal traguardo, visto che la sua banca centrale è nei fatti un dipartimento di politica economica del governo, ed il disegno della politica monetaria ancora subalterno alla gestione politica del tasso di cambio e dei movimenti dei capitali.
L’assenza di regole monetarie ha due effetti tossici endemici che in Occidente ben conosciamo, anche se tendiamo sistematicamente a dimenticare: il disordine monetario e/o valutario, l’eccesso finanziario. In questi mesi anche la Cina ha avuto modo di conoscere da vicino queste due tossine.
Certo la trasformazione del renminbi in una valuta disciplinata dalle bussole monetarie sarebbe più facile se tali bussole fossero pienamente attive negli Stati Uniti, che come ricordavamo è oggi il maggior produttore della valuta di riserva. In linea di principio, infatti, se ogni paese disegna ed implementa politiche monetarie, e quindi di riflesso andamenti valutari, coerenti con le bussole, il coordinamento diviene più facile.
Oggi però tale principio è impossibile da verificare, o da smentire, per l’assenza di una bussola monetaria anche negli Stati Uniti. La banca centrale americana (FED) continua a navigare a vista, ed ogni sua decisione è catalizzatore di maggiore incertezza, con i relativi costi economici e finanziari. Purtroppo l’assenza di bussole monetarie è oggi funzionale agli interessi di una banca centrale, che, in quando dipendente dalla politica, anche a causa del suo generico mandato, non può che essere condizionata dal clima di avvicinamento alle elezioni presidenziali, per cui l’inerzia monetaria cioè l’assenza di regola, non insignificanti cambi di tasso di interesse – sarà trascinata il più possibile.
Dollaro e renminbi avrebbero bisogno di regole monetarie; sarebbe una naturale alleanza, con benefici a raggiera e progressivi, a partire da Stati Uniti e Cina, in termini di minor incertezza. Certo, in entrambi i contesti, gli interessi di breve periodo del controllo politico su moneta e valuta dovrebbero essere sacrificati. Per un politico, significa spine oggi e rosa domani. Lo farà?