martedì 22 settembre 2015

Il Sole 22.9.15
Difficile stravolgere il clima pro-riforma ma in Aula tutto può succedere
di Paolo Pombeni


Se occorreva una riprova dell’abilità di Renzi nell’unire narrazione e tattica politica, la riunione della direzione Pd l’ha offerta in pieno. Il segretario-presidente ha imposto l’agenda del dibattito entro parametri che gli erano assolutamente favorevoli, con un solo scivolone, persino misterioso nelle sue motivazioni, e cioè la rude chiamata in causa del presidente Grasso.
Nella sostanza l’architettura del discorso è consistita nel marginalizzare la questione del voto sul ddl Boschi a favore di due temi: uno più emozionale che andava dalla questione dell’immigrazione a quella della povertà, uno più sostanziale che affrontava la questione dell’avvio di ripresa economica che doveva essere rafforzato da una legge di stabilità che non si poteva correre il rischio di mettere in forse per “questioni asfittiche” di normative sulle modalità di elezione dei senatori.
Che Renzi così facendo avesse scelto, almeno in quella sede, la strategia vincente lo si è visto subito. Nessuno nel dibattito in direzione ha tirato in ballo la questione della centralità di un senato elettivo nella maniera proposta dalla minoranza dem nel profluvio di talk show a cui ha partecipato (talk show su cui Renzi non si è trattenuto dall’ironizzare quanto a presa sul pubblico).
Se si giudica da quello che abbiamo sentito in diretta (la direzione si poteva seguire in streaming) ci sarebbe da concludere sia che una parte significativa almeno della minoranza ha capito che tirare la corda sign ificava finire tutti per terra per rottura della corda medesima, sia che la riforma così come è proposta non manca di consenso anche in molti settori del Pd che non si possono banalmente definire renziani. A testimonianza della prima conclusione non sta solo l’intervento estremamente moderato e razionale di Cuperlo, ma anche l’appello dell’onorevole Sandra Zampa che ha detto molto chiaramente che sarebbe stato disastroso per il partito far passare la riforma grazie ai voti decisivi della destra.
Quanto alla seconda conclusione non deve sfuggire il peso degli interventi di Chiamparino e di Enrico Rossi che hanno ricordato l’importanza di restituire spazio politico alle regioni (sottintendendo che non sono tutte lo sfascio che si pensa per il fallimento di alcune) e che hanno rivendicato il fatto che in tema di elezione diretta loro (cioè i governatori) avevano raccolto molto più consenso popolare diretto della quasi totalità di deputati e senatori.
Naturalmente Renzi non si è trattenuto dal dare un certo spazio ad un po’ di retorica della “sinistra” tradizionale. Così ha dedicato attenzione nella sua replica all’intervento di D’Attorre che aveva raccolto la sua provocazione sull’elezione di Corbyn ed aveva attaccato il blairismo: troppo facile rispondergli che Blair aveva pur sempre vinto tre elezioni di seguito, ma ovviamente non era il genere di intervento che poteva impensierire la leadership.
Come si diceva, è stata invece sopra le righe la chiamata in causa del presidente Grasso. Certo si può pensare che derivi dalla irritazione di aver visto un presidente che non prendeva posizione da subito su una questione chiara ancor prima di accadere, cioè se fosse ammissibile o meno votare sulla “doppia conforme”. L’argomentazione che potesse essere possibile in caso di larga intesa politica sull’aggiramento del vincolo (sembra ci sia qualche precedente) era debole, perché a tutti evidente che questa “larga intesa” era ardua da individuare, quanto meno perché vi si opponevano il governo e la maggioranza del Pd. Detto questo, rimane che questa presa di posizione così esplicita poteva essere evitata proprio nel momento in cui sembra si sia individuato l’escamotage di votare sul famoso comma 5 dell’art. 2, cioè su un passo che è stato indubitabilmente modificato (anche se non si sa quanto significativamente).
Al di là di questo passaggio, Renzi può considerarsi per il momento soddisfatto dell’esito della prova, non solo per una approvazione all’unanimità della sua relazione. Certo in quella approvazione ci sono elementi che andavano bene, più o meno convintamente, a tutti (misure economiche, immigrazione, lotta alla povertà, ecc.) e sulla questione del senato non si è detto veramente cosa si sarebbe fatto, ma solo che l’accordo di fatto era possibile e che sarebbe stato improprio offrire sostegni alle opposizioni che accusano il governo di non aver fatto nulla anziché intestarsi i buoni risultati che il Pd come partito poteva rivendicare.
Adesso si dovrà vedere cosa accadrà in Aula. I “duri” della minoranza, D’Attorre a parte, non erano presenti (come Bersani) o non sono membri della direzione. Per loro, a biglie ferme, sarà però difficile stravolgere il clima che si è creato ieri con la certezza di finire accusati di essere quelli che disconoscono un successo collettivo per imporre “diktat” (mentre Renzi ha rivendicato che il testo ha subito durante l’iter ben 134 modifiche, sicché è arduo parlare di qualcosa che era chiuso ad ogni negoziato). Però la dinamica parlamentare può riservare sorprese, perché le opposizioni sembrano decise a giocare duro e questo può aprire spazi per colpi di mano, e ancor più per colpi di testa che in un clima esasperato come quello attuale non possono mai essere esclusi.