domenica 20 settembre 2015

Il Sole 20.9.15
La politica in numeri
Il rischio di un capo dello Stato «scelto» da chi vince le elezioni
di Roberto D'Alimonte


C’è qualcosa che potrebbe essere migliorato nel meccanismo di elezione del presidente della repubblica previsto dalla riforma costituzionale in discussione. Fino ad oggi il capo dello stato è stato eletto da una assemblea di grandi elettori che comprende deputati, senatori e rappresentanti regionali. In occasione della elezione di Mattarella erano poco più di mille. Dopo il terzo scrutinio la regola elettorale è quella della maggioranza assoluta dei grandi elettori. Questo dice la costituzione ancora in vigore. Con la riforma in discussione il capo dello stato sarà eletto da una assemblea composta da 630 deputati e 100 senatori, più un numero imprecisato di ex presidenti della Repubblica. Quanto al metodo di elezione, fino al terzo scrutinio sarà necessaria la maggioranza dei due terzi dei membri della assemblea. Dal quarto ci vorrà la maggioranza dei tre quinti della assemblea. Dal settimo scrutinio sarà sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti. È in questa ultima previsione che si nasconde un piccolo problema.
Facciamo un esempio. Lasciamo da parte gli ex presidenti della repubblica, che comunque saranno pochi, e ragioniamo sulla base di 730 grandi elettori. I tre quinti di 730 fa 438. Se tutti votano questa sarà la maggioranza necessaria per eleggere il capo dello stato. In questo caso al partito vincitore delle elezioni non basterà il premio di maggioranza previsto dal nuovo sistema elettorale - l'Italicum - per aggiudicarsi anche la presidenza della repubblica oltre alla presidenza del consiglio. Infatti avrà a sua disposizione i 340 seggi garantiti dal premio, più – ipotizziamo - 6 seggi provenienti dalla circoscrizione estero, più – sempre per ipotesi - 60 senatori su 100. Il totale fa 406. Gli mancherebbero comunque più di 30 seggi per arrivare ai tre quinti dell'assemblea.
Va da sè che se i senatori afferenti alla maggioranza di governo fossero meno di 60 i 30 seggi non basterebbero più.
Ciò premesso, se tutti i grandi elettori partecipano al voto, chi vince le elezioni politiche potrebbe eleggere un “suo” presidente della repubblica solo se controllasse tutto il senato. In questo caso infatti avrebbe a sua disposizione 446 voti (346 deputati + 100 senatori ). Ma questo caso è impossibile. Lo è per legge, perché la riforma stabilisce che i futuri senatori siano scelti dai consigli regionali con metodo proporzionale.
E va bene così. È giusto che chi vince le elezioni con l’Italicum non possa conquistare da solo anche la presidenza della repubblica. Questa è la ratio della norma che alza la soglia per l’elezione del capo dello stato. Una norma del genere avrebbe già dovuto essere introdotta ai tempi della legge Mattarella e ancor più ai tempi della Calderoli. Ma la formula contenuta in questa norma – i tre quinti dei votanti dopo il sesto scrutinio- non assicura che i futuri presidenti siano eletti da una maggioranza allargata che comprenda anche una parte almeno della opposizione, come sarebbe giusto nel caso di una figura di garanzia come quella del nostro presidente della repubblica.
Immaginiamo infatti che 200 grandi elettori decidano di non partecipare al voto. In questo caso la regola dei tre quinti si applica non più a 730 ma a 530. I tre quinti di 530 fa 318. Ed ecco allora che il vincitore delle elezioni politiche con i suoi 406 voti potrebbe eleggere il “suo” presidente, senza mediazioni. Ma c'è di più. Seguendo questa linea di ragionamento si può arrivare ad ipotizzare anche il caso di un presidente eletto da una minoranza dei grandi elettori, cioè meno di 366.
Ma perché un numero consistente di grandi elettori dovrebbe astenersi e consegnare l’elezione del presidente ad una maggioranza “fabbricata” dal sistema elettorale ? I motivi possono essere diversi. Anche quello di delegittimare il futuro capo dello stato facendolo eleggere o da una minoranza oppure da una maggioranza ristretta che corrisponde a quella di governo. Un comportamento “strategico” di questo genere è nelle corde di partiti anti-sistema, per esempio. Siamo i primi ad ammettere che la probabilità di un simile esito è bassa. Ma perché rischiare ?
Il rimedio c'è. Anzi ce ne sono due. Uno è quello di fissare la formula elettorale a tre quinti dei membri della assemblea e non dei votanti. Ma questa formula ha il difetto di irrigidire troppo il meccanismo di elezione. L'altro rimedio è quello di stabilire che la regola dei tre quinti vale solo se il risultato della votazione non è inferiore alla maggioranza assoluta dei componenti della assemblea. In questo caso se votano tutti la soglia per eleggere il presidente è 438, cioè i tre quinti. Se una parte dei grandi elettori si astiene il presidente può essere eletto con una maggioranza inferiore. Ma in nessun caso con una maggioranza inferiore a 366, che è la soglia della maggioranza assoluta. Questa formula non esclude, come farebbe la precedente, che la maggioranza di governo - quella dell’Italicum - possa eleggere un ‘suo' presidente, ma esclude che possa essere eletto un presidente di minoranza.
Visto che il testo approvato a suo tempo dal Senato è già stato modificato dalla Camera la modifica suggerita qui si potrebbe fare ora senza forzare i regolamenti parlamentari. Non si tratta di una questione fondamentale. Ma certo è curioso che una norma pensata per rendere più consensuale l'elezione del futuro presidente della repubblica possa portare alla scelta di un presidente di minoranza. Cosa che non può accadere con la Costituzione attualmente in vigore. Per quanto sia un rischio poco probabile non vale la pena di correrlo.