Il Sole 1.9.15
Le ragioni della frenata
La crescita esponenziale del costo del lavoro
Le autorità puntano soprattutto ad aumentare la produttività attraverso l’automatizzazione spinta della produzione
di Rita Fatiguso
Non c’è soltanto l’urbanizzazione rimasta a metà del guado a frenare i sogni di ripresa cinese.
Il costo del lavoro sommato alla penuria di lavoratori sta diventando un fattore negativo, specie in una congiuntura difficile come questa.
Un problema che, in parte, si intreccia con i movimenti migratori, con l’urbanizzazione stessa, il che complica le possibili soluzioni.
Nel GuangDong pagano agli operai metà salario per stare a casa e andare a lavorare quando ci sono le commesse. L’operaio non perde il lavoro, il datore non perde l’operaio. Entrambi sono “appesi” alle commesse. A dirlo al Sole 24 Ore è un expat da anni attivo a Guangzhou, capitale della provincia che ha fatto da locomotiva della crescita cinese e che tutt’ora riesce a produrre un quarto del Prodotto interno lordo della Cina.
C’è da crederci: la domanda debole, anzi, l’incapacità della Cina di cambiare il modello economico sganciandosi dalla domanda sta aggravando il problema del costo del lavoro. Dal 2007 in poi, data in cui si è dotata di una nuova legge sul lavoro, la Cina ha cominciato a registrare l’aumento dei costi. Un’occhiata alle cifre del National bureau of statistics scopre cifre da brividi, dal 2003 in poi il salario medio è cresciuto a dismisura. Dodici anni fa il lordo mensile di un lavoratore in un’area urbana era di 13.969 yuan al mese, nel 2013 era più che triplicato a 50.723.
La corsa non si arresterà facilmente. La Cina punta ad accrescere i consumi interni e non può far nulla, senza salari adeguati non si può spendere. Chi non riesce a star nei numeri va via, sposta l’azienda in Vietnam, Indonesia, a breve, in Birmania.
Paradossalmente proprio il GuangDong sta cercando di abbassare i costi elevando la produttività.
Come? Quest’anno la Cina dovrebbe diventare la prima nazione al mondo nella produzione e nell’uso dei robot. In una fabbrica del GuangDong si lavora febbrilmente alla prima fabbrica senza lavoratori, la prima fabbrica a zero lavoro.
Nell’area mancano tra i 600mila e gli 800mila lavoratori, stando al check che viene fatto a fine Festa di Primavera quando i migranti non tornano più al lavoro, restano a casa dove la vita costa molto meno.
Il Paese deve affrontare anche il problema di un numero crescente di anziani lavoratori migranti. Loro sì, sono in aumento stando sempre alle cifre del National Bureau of Statistics.
La percentuale dei lavoratori migranti sotto il 40 anni tende ulteriormente diminuire, un avvertimento per l’industria manifatturiera ad alta intensità di lavoro in Cina. Ecco perché, di fronte alla terribile situazione di una contrazione della forza lavoro, gli economisti “organici” al sistema suggeriscono che la Cina dovrebbe aggiornare la sua tecnologia e utilizzare i robot intelligenti. Ma, servirà?
Il governo locale del GuangDong ha messo sul piatto 943 miliardi di yuan (152 miliardi di dollari) per sostituire gli esseri umani con i robot entro tre anni. Spingerà per l’applicazione dei robot in 1.950 aziende in tutta la provincia dove si prevede di costruire due basi industriali avanzate per la produzione di robot entro la fine del 2017.
La Everwin Precision Technology Ltd di Dongguan sta spingendo per la messa in opera di mille robot, 100 sono stati giàoeprativi. Per Chen Qixing, capo dell’azienda, «la fabbrica zero lavoro non significa non impiegare tutti gli umani, vogliamo ridimensionare al 90 per cento la forza lavoro».
Invece di 2mila lavoratori, l’attuale forza lavoro, la società ne occupa appena 200 per il funzionamento del sistema di gestione del software.
Ma l’imperativo è preciso, come dice Di Suoling, responsabile della Dongguan Taiwan Business Association. Bisogna sostituire i lavoratori umani con i robot, data la grave carenza di manodopera e di aumento del costo del lavoro.