venerdì 18 settembre 2015

Il Sole 18.9.15
Sezioni unite. Doppio intervento della Cassazione: per la locazione occorre la forma scritta «ad essentiam»
Nullo il patto sui canoni in nero
L’inquilino può riottenere quanto versato in più rispetto al «concordato»
di Saverio Fossati


Gli affitti in nero portano a conseguenze pericolose, soprattutto per il locatore. La Corte di cassazione, intervenendo a Sezioni unite su un tema che ha suscitato più di una perplessità, ridisegna i confini della nullità dei contratti verbali e di quelli che, pur scritti, si accompagnano a scritture private con patti diversi (in generale integrazioni del canone ufficialmente pattuito). E compie un revirement rispetto alla sentenza 16089/2003.
Con la sentenza 18214, depositata ieri (conseguenza dell’ordinanza di rimessione della Terza sezione civile n. 20480/2014), la Corte ha affrontato la questione della forma scritta. Partendo dal caso di uno sfratto, convalidato nel 2006, da un immobile il cui contratto di locazione era stato stipulato in forma verbale nel 2003. Anzitutto, facendo riferimento alla norma di cui all’articolo 13 della legge 431/98, richiama le teorie neoformaliste e «l’impraticabilità di una automatica applicazione della disciplina della nullità in mancanza della forma scritta ad substantiam, essendo piuttosto necessario procedere a un’intepretazione assiologicamente orientata. (...). Così, il carattere eccezionale o meno della norma sulla forma (...) dovrà risultare da un procedimento interpretativo».
La sentenza provede poi illustrando i vari orientamenti di dottrina e giurisprudenza, aderendo al filone interpretativo che ritiene «necessaria la forma scritta ad essentiam, limitando, peraltro, la rilevabilità della nullità in favore del solo conduttore nella specifica ipotesi di cui all’articolo 13, comma 5 della legge 431/98, che gli accorda una speciale tutela nel caso in cui gli sia stato imposto, da parte del locatore, un rapporto di locazione di fatto, stipulato solo verbalmente».
Le Sezioni unite definiscono quindi due ipotesi: la prima, quando il conduttore sia stato «costretto» dall’abuso del locatore a un contratto verbale, con la conseguente «necessità di un riequilibrio del rapporto mediante (...) un’ipotesi di nullità relativa». Qui, però, la Cassazione richiede che sia il locatore ad avere preteso questo rapporto di fatto, subìto dal conduttore, e che tale condizione, unitamente all’esistenza del contratto verbale, vada accertata dal giudice. In questi casi il conduttore (e lui solo) potrà chiedere che la locazione nulla «venga ricondotta a condizioni conformi» ai canoni “concordati”.
L’altra ipotesi è che la forma verbale sia stata concordata liberamente, senza costrizioni: in questo caso il locatore potrà agire in giudizio per ottenere la liberazione dell’immobile occupato senza titolo, e il conduttore potrà ottenere la restituzione delle somme versate in misura eccedente il canone concordato.
La sentenza 18213 delle Sezioni unite, anch’essa depositata ieri, riguarda invece il caso di una scrittura privata (esplicitamente concepita a fini di evasione fiscale) che, accanto al contratto regolarmente scritto e registrato, prevedeva il pagamento di una somma in più (assai superiore). La sentenza risponde all’ordinanza interlocutoria 37/2014. Dopo varie considerazioni sulla simulazione, la Corte conclude (ribaltando l’interpretazione data dalla sentenza 16089/2003) per la nullità della «controdichiarazione» in aumento del canone, che sostanzia una sostituzione vietata dalla legge. Il conduttore può così riottenere tutte le somme versate. E a nulla vale la tardiva registrazione della controdichiarazione.