martedì 15 settembre 2015

Il Sole 15.9.15
Legge elettorale. Cresce la pressione per rivedere l’Italicum in una sorta di «scambio» con il sì al Ddl Boschi
di Emilia Patta


L’«asse» tra minoranza dem, Fi e Ncd per tornare al premio alla coalizione
L’articolo 2, ma non solo. Nella trattativa in corso a Palazzo Madama sulla riforma del Senato e del Titolo V è entrato a gamba tesa anche l’Italicum approvato in via definitiva nell’aprile scorso. La nuova legge elettorale è nuovamente tirata in ballo da mezzo Parlamento in una sorta di “scambio” con il sì al Ddl Boschi in Senato, dove i numeri per la maggioranza sono risicatissimi nonostante il recente apporto dei dieci verdiniani e dove i 25/29 voti dei dissidenti del Pd sono dirimenti. L’obiettivo di chi vuole rimettere mano all’Italicum è il premio alla lista e non alla coalizione strappato da Matteo Renzi a Silvio Berlusconi nel gennaio scorso, quando era ancora in piedi il patto del Nazareno. A voler riaprire il file Italicum per reintrodurre il premio alla coalizione non sono solo gli esponenti della minoranza del Pd ma anche Forza Italia, che pure il premio alla lista lo aveva votato in Senato (non alla Camera, dove il sì definitivo all’Italicum c’è stato dopo l’ elezione di Sergio?Mattarella al Quirinale e quindi all’indomani della rottura del patto del Nazareno), alla quale si è aggiunto da ultimo il Nuovo centro-destra.
Gli alleati di governo alfaniani, in particolare, avevano essi stessi sostenuto il premio alla lista quando se ne discusse per la prima volta a inizio anno. Va ricordato che l’Italicum prima versione, quello che prevedeva il premio alla coalizione, conteneva una scansione si soglie di sbarramento piuttosto alte: 4.5% per le liste coalizzate, 8% per le liste non coalizzate e 12% per la coalizione. Numeri difficili da raggiungere per una piccola formazione come Ncd: da qui la concessione a Renzi del premio alla lista in cambio dell’abbassamento delle soglie ad un unico tetto del 3%. E anche Berlusconi, nell’accordare nel gennaio scorso i voti dei suoi senatori alla nuova versione dell’Italicum contenente il premio alla lista, non è stato spinto solo dalla “promessa” renziana di eleggere un capo dello Stato condiviso ma anche da un ragionamento politico: l’ambizione di riunire ancora una volta i moderati italiani sotto la sua ala in modo da formare una sorta di partito conservatore o repubblicano (all’anglosassone, insomma) che si sarebbe conteso la vittoria al ballottaggio con il Pd di Renzi. Tanto più che solo qualche mese fa i rapporti tra Forza Italia e la Lega di Matteo Salvini erano a dir poco freddi, e per Berlusconi era difficile pensare ad un’alleanza con un partito anti-euro così diverso da quello di Bossi.
Che cosa è accaduto da marzo ad oggi per far cambiare così radicalmente idea a Forza Italia e soprattutto agli alfaniani? Le elezioni regionali e amministrative del 31 maggio, naturalmente. Che hanno rivelato due cose: il partito centrista del ministro dell’Interno non ha raggiunto il 4%, e il primato nel centrodestra è passato da Fi - ridotta in molte realtà a percentuali sotto il 10% - alla Lega di Salvini. E i sondaggi delle ultime settimane confermano la tendenza. Con una tripolarizzazione attorno a Pd-Movimento 5 stelle-nuova Lega il giovane partito di Alfano rischia di essere stritolato nell’irrilevanza, visto che l’Italicum non solo prevede il premio alla lista e non alla coalizione ma vieta anche gli apparentamenti tra primo turno e eventuale ballottaggio. Dal punto di vista di Berlusconi, poi, il rischio concreto è che con tale tripolarizzazione, e nell’impossibilità di fare una coalizione di centrodestra di stampo classico, al ballottaggio con il Pd di Renzi vada il Movimento 5 stelle e non certo un partito moderato di centrodestra che non è alle viste. E non a caso l’M5S sul premio alla lista non ha nulla da ridire.
La minoranza Pd, da parte sua, è mossa da una serie di considerazioni che vanno dall’avversione all’idea di partito a vocazione maggioritaria di veltroniana memoria alla preoccupazione di non perdere il legame con la sinistra di?Sel e altro che possa sorgere in quell’area da qui alle politiche (già Stefano Fassina e Pippo Civati dal Pd sono usciti). Ma maliziosamente i renziani fanno notare che con il premio alla lista è complicata anche la via della scissione, dal momento che un nuovo partito alla sinistra del Pd avrebbe senso solo se potesse condizionare il programma del partito maggiore. Pena l’irrilevanza politica.