venerdì 4 settembre 2015

il manifesto 4.9.15
Festival di Venezia 2015
È la stampa, reverendo
Fuori Concorso. Giornalismo d’inchiesta a Boston, travolgente film di genere: «Spotlight» di Tom McCarthy presentato fuori concorso, con Mark Ruffalo e Michael Keaton. Come si indagò e si lanciò la campagna contro i preti pedofili
Silvana Silvestri


VENEZIA Ha scosso il mondo cattolico l’inchiesta sui preti pedofili iniziata negli Usa alcuni anni fa ed ora alla Mostra arriva l’atteso Spotlight di Tom McCarthy, un altro film in programma (fuori concorso) che affronta un tema ispirato alla realtà. Perfetto film di genere, è una macchina senza sbavature ambientato nel mondo del giornalismo americano, uno di quei film che periodicamente arrivano a fare sensazione come gli eventi che li hanno ispirati (il Watergate ad esempio), con figure emblematiche a sostenere il racconto. Si muove alla perfezione il regista Tom McCarthy, nato nel New Jersey con studi a Boston, che ha firmato tra gli altri i film Station Agent (2003), L’ospite inatteso (2007), anche attore (Good Night and Good Look) e sceneggiatore.
Siamo al Boston Globe, deve arrivare un nuovo direttore e già dalle prime battute entriamo nel linguaggio scabro fatto di partite di poker, risposte fulminanti e poche chiacchiere. I capi redattori coordinano (Michael Keaton), i cronisti scalpitano, poi c’è anche una donna (Rachel McAdams) per par condicio e l’outsider (Mark Ruffalo), di origine portoghese che non molla la presa finché non arriva in fondo. Ora ha per le mani il caso di un prete che ha molestato bambini, ma può un giornale i cui lettori sono più della metà cattolici fare causa alla chiesa? La Chiesa ragiona in termini di secoli, potrà il Globe avere tutto questo tempo?
Anche il nuovo direttore è un personaggio che fa scalpore, dritto allo scopo nel rendere indispensabile il quotidiano, in un’epoca (siamo nel 2001) in cui internet azzera le vendite. Di poche parole, ebreo e non gioca neanche a golf, ma ha una strategia in mente e indirizza le ricerche verso una strada di non ritorno, come succederà, facendo infine scoppiare un caso di cui ancora si parla.
È molto interessante seguire i meccanismo del giornalismo investigativo raccontato nel minimi dettagli: non uscire allo scoperto se prima l’indagine non sia stata completata nei dettagli, nelle prove e nelle testimonianze. L’indagine durerà infatti parecchi mesi a partire dai tredici casi di preti conosciuti ai novanta che emergono via via, alle interviste senza mezzi termini a base di: «la gente vuole sapere i particolari», dove è successo? quando è successo?
Il gruppo dei cronisti è lanciato sulle piste dell’avvocato (Stanley Tucci) che difende le vittime di violenze, dell’avvocato che patteggia direttamente con la chiesa ottenendo altissimi risarcimenti (è stato recentemente calcolato in quasi un miliardo di dollari negli Usa, 21 milioni solo a S. Francisco). E per convincere i pezzi grossi più reticenti basterà chiedere: «Ma tu non vuoi stare dalla parte giusta?». Fino ad arrivare al cardinale Law dell’Arcidiocesi (Giovanni Paolo lo trasferì a Roma, a Santa Maria Maggiore) che «sa qualcosa» e che regala al direttore del Globe un voluminoso catechismo dicendogli: «la prenda come una guida di Boston». La Chiesa infatti, viene sottolineato, è la grande benefattrice di Boston, intorno a lei girano gli affari.
Non si dimentica neanche l’importanza che ha l’archivio in un giornale: lì infatti come punto di partenza si ritrovano i ritagli degli articoli su diversi casi che presi separatamente non significavano molto, ma che quando la rete inizia a comporsi saranno la base su cui costruire. Qualcuno in passato aveva già inviato nomi e dati, ma non si era dato troppo credito a quelle denunce.
Il grosso ostacolo contro cui combatte il team di cronisti, il gruppo Spotlight da cui prende il titolo il film, è appunto il silenzio, l’autoassoluzione dei preti, l’omertà della società, il senso di vergogna delle vittime che costituisce la leva dei preti pedofili per ottenere il silenzio. Sono vittime scelte non a caso tra bambini poveri, quasi sempre senza padre che vedono nella benevolenza del loro prete quasi un incontro con Dio, ma che spesso poi ricorrevano al suicidio o alla droga. Quelli ancora vivi cominciano a raccontare. La quantità di casi che emerge sgomenta: si deve trattare di un grande numero di preti, altrimenti non avrebbero potuto farla franca così a lungo.
Finiscono con lo scoprire che si tratta di una percentuale vicina al 6% del clero e l’elenco dei nomi completerà la ricerca, messi in riposo o in case di cura per malattie mentali una volte scoperti, ma senza per questo abbandonare il sacerdozio. Una cultura della clandestinità che confligge pesantemente in ogni caso con l’etica protestante dominante nel paese. Portare alla luce, far parlare, fuori i nomi e le cifre. Nel frattempo ricordiamo che il cardinal Ratzinger dall’Italia interveniva contro i media americani che gettavano discredito e si dovrà aspettare papa Francesco per la condanna definitiva portando in giudizio per abuso di ufficio i vescovi che non abbiano dato seguito alle denunce degli abusi sui minori.
Nel film l’attenzione maggiore è data dalla ricerca della verità, dal meccanismo e dalla strategia giornalistica più che dalle ripercussioni sul mondo cattolico. Il caso in tutta la sua analisi particolareggiata (si parla di 7000 preti coinvolti negli Usa) viene pubblicato nel 2002 e diventa materia esplosiva prima nel paese e poi nel mondo intero. Nel 2003 l’inchiesta valse il Pulitzer come miglior servizio pubblico. «È per questo genere di cose che facciamo questo lavoro» sarà il commento conclusivo, che non deve essere sfuggito ai veri cronisti del Globe se a tratti hanno trovato il film un po’ surreale, non potevano lasciarsi sfuggire la battuta finale.
Il regista ha dichiarato di non aver voluto essere distruttivo, ma mostrare la verità e che Mark Ruffalo, un attore assai impegnato nel sociale, aderisce perfettamente al personaggio di Mike, il cronista d’assalto. Allevato nella religione cattolica, dagli insegnamenti di Gesù ha tratto i suoi valori come attivista della giustizia sociale, insegnamenti che il regista condivide.
Aggiunge anche tutti collegano la pedofilia con il celibato dei preti: «Questa non è l’unica ragione, dice, ma qualcosa si è infranto nell’istituzione. La gente cerca un collegamento umano e c’è qualcosa di bello in quello che annuncia Francesco, qualcosa di semplice. La Chiesa cattolica ha molta strada da fare, se fosse più aperta molte ferite si guarirebbero».