il manifesto 4.9.15
Scuola, realtà e finzioni dell’autoritarismo di Renzi
Sulle decine di migliaia di docenti costretti a emigrare il governo sperimenta una gestione del «capitale umano» ispirata al comando: la forza-lavoro dev’essere muta e disciplinata. i diritti sono una concessione
Chi protesta è un “culo di pietra” o un ingrato. Ma la realtà è un’altra
Domani e domenica assemblea nazionale a Bologna del movimento "No Buona Scuola"
di Roberto Ciccarelli
Il problema non è solo il trasferimento obbligatorio (definito con l’orribile e improprio concetto di «deportazione») o il lavorare lontano da casa e dagli affetti. Sui 7 mila prof costretti a emigrare dal Sud (saranno molti di più a novembre, un numero ancora imprecisato tra i 15 e i 30 mila) si sta sperimentando una nuova idea di gestione del «capitale umano». Non è solo una questione di efficienza, ma di comando: La forza-lavoro dev’essere muta e disciplinata. La scuola per Renzi è importante. Lui dice: «io ti do un lavoro» — non è una concessione, i precari della scuola ne hanno il diritto– « ma tu devi adeguarti alle mie condizioni». Tacere e obbedire, altrimenti nessun diritto. Chi rifiuterà, entro il prossimo 11 settembre, l’assunzione fuori regione «in fase B», anche a un migliaio di chilometri di distanza dalla residenza, sarà depennato dalle graduatorie e non lavorerà più. Ha solo la possibilità di ricorrere in tribunale. E poi c’è la sanzione sociale. Chi critica, e pone elementari problemi di razionalità del sistema di assunzione – esistono, e sono gigantesche — è stigmatizzato come un lazzarone, un «culo di pietra» e rientra nella rappresentazione razzista del meridionale «chiagni e fotti».
È il paradosso dettato dall’ignoranza abissale delle reali condizioni di lavoro dei precari. Per anni costretti a fare anche centinaia di chilometri al giorno per raggiungere istituti sempre diversi, e dislocati spesso in più città, oggi i docenti sono derisi perché non vogliono lasciare tutto e pagarsi doppi affitti e spese con uno stipendio da 1300 euro. Al di là dei numeri, cospicui, questa è una metafora italiana: in cambio di un lavoro il datore (in questo caso lo Stato) può chiedere al lavoratore la rinuncia alle condizioni elementari di sostenibilità: il reddito, gli affetti, la professionalità e molto altro. L’infamia non ha fine, basta dare un’occhiata ai giornali e ai social network dove trionfa un mix di autoritarismo e neoliberismo. Reazioni come quelle di ieri del sottosegretario all’istruzione Faraone spiegano, più di altre, il clima creato dal governo: c’è il vittimismo del potere – i docenti «non capiscono» il bene che Renzi gli sta facendo; l’illusione: «Questa mole di assunzioni \[160 mila, compreso il prossimo concorso, ndr.\] dovrebbe essere una festa per il paese»; l’accusa: «Questo dibattito sulla “deportazione” è uno schiaffo ai tanti giovani senza lavoro, costretti a emigrare per trovare un’occupazione». Si è persa di vista la realtà: i 102 mila docenti assunti lavorano da anni e la riforma peggiorerà le condizioni di vita e lavoro per una buona parte. È il trionfo della retorica del «lavoro purchessia», non della sua qualità: almeno 55 mila docenti della «fase C» saranno usati da «tappabuchi» dai presidi-manager. Si sta creando una categoria anomala di docenti: i «dipendenti freelance».Così finisce l’autonomia professionale, un bene fondametale in questo lavoro.
A sentire i sindacati «si stanno producendo incredibili iniquità» (Carmelo Barbagallo, segretario generale Uil). «Il piano di assunzioni è un fallimento — sostiene il presidente dell’Anief Marcello Pacifico — al termine il Miur avrà immesso in ruolo circa 80 mila precari rispetto ai 102 mila previsti e ai 148 mila iniziali. Un docente su due neo-assunto sarà trasferito d’ufficio. Il precariato non scompare come aveva detto Renzi: nelle graduatorie resteranno 70 mila precari e in quelle di istituto 100 mila abilitati. I docenti dell’infanzia sono stati esclusi mentre esistono migliaia di posti vacanti. Tutto questo è assurdo». Questa è l’immagine della scuola al termine di un’estate terribile. Le sue comunità sono in movimento. Domani e domenica a Bologna decine di comitati, movimenti e associazioni, insieme a tutti i sindacati della scuola (e non solo), partiti (da Sel ai Cinque Stelle) si incontreranno all’università di Bologna nella Scuola di Economia (Aula 3 Piazza Scaravilli) per decidere come continuare l’opposizione a una riforma che ha iniziato a mostrare il suo volto feroce. Si discuterà di una proposta di referendum contro la «Buona scuola», ma anche delle mobilitazioni che inizieranno sin dal primo giorno di scuola.