il manifesto 12.9.15
Catalunya, Ara és l’hora: 2 milioni in strada per la Diada
Catalunya. Celebrazioni pro indipendenza
di Luca Tancredi Barone
BARCELLONA Dal 2012, quella che ogni 11 settembre era poco più di una manifestazione istituzionale che celebrava la Diada, la festa catalana, si è trasformata grazie alle associazioni indipendentiste Anc (Associazione nazionale catalana) e Òmnium Cultural, in una celebrazione esplicitamente indipendentista. La Diada ricorda la storica sconfitta dei catalani che (assieme agli aragonesi) si erano alleati con la casa reale sbagliata durante la lunga guerra di successione, iniziata nel 1701, al trono di Madrid, finito nelle mani di Filippo V (di Borbone) invece che in quelle dell’arciduca Carlo III d’Austria. Barcellona cadde nel 1714 dopo un lungo assedio, e Filippo V si vendicò ritirando tutti i privilegi di cui godeva la Catalogna.
Molti catalani si sentono di nuovo in guerra, dopo la dura sentenza del Tribunale costituzionale che, su richiesta del Pp, nel 2010 limitò in parte gli effetti dello Statuto catalano entrato in vigore nel 2006 dopo anni di discussioni. E quello che era un sentimento secessionista radicato ma minoritario – intorno al 30% — è andato rafforzandosi nel discorso politico e nel corpo sociale dei catalani. L’obiettivo della massiccia e coreografica manifestazione di ieri era di rendere evidente quello che gli organizzatori considerano il sentimento maggioritario dei catalani: la creazione di una repubblica catalana. Ara és l’hora, «ora è l’ora», il suo motto. Gli organizzatori parlano di due milioni di persone; matematicamente sulla sola avinguda Meridiana non ce ne stanno più di 7-800mila.
I 5,2 km di questo lungo viale erano divisi in 10 tratti colorati (dedicati all’innovazione, alla cultura e istruzione, alla giustizia sociale, al mondo, all’uguaglianza, alla diversità, alla solidarietà, all’equilibrio territoriale, alla sostenibilità e alla democrazia), le cause – secondo gli organizzatori – che caratterizzeranno la Catalogna prossima ventura. Alle 17,14 una frecciona gialla ha iniziato a percorrere lo statico corteo per andare a incastrarsi in un palco pieno di schede elettorali ubicato nel Parco della Ciutadela, luogo simbolico della battaglia di Barcellona del 1714 nonché sede del parlamento catalano.
L’anno scorso la Diada si celebrò poche settimane prima dello storico referendum del 9 novembre sull’autodeterminazione dei catalani che il governo di Madrid bloccò in tutti i modi possibili e che finì per essere una celebrazione “informale”, ma che portò comunque più di due milioni di persone a esprimersi maggioritariamente a favore dell’indipendenza.
Quest’anno il president catalano Mas ha fatto in modo che coincida proprio con il primo giorno di campagna elettorale delle elezioni anticipate da lui convocate in cui 7 milioni e mezzo di catalani eleggeranno il nuovo Parlament, che Mas e i suoi alleati vorrebbero che fossero «plebiscitarie» (cioè fossero solo a favore o contro l’indipendenza). Da parte sua, Mas – nascosto al quarto posto di una lista unitaria («Assieme per il sì») che oltre al suo partito unisce il teoricamente principale partito d’opposizione, Esquerra Republicana, oltre alle menzionate Òmnium Cultural e Anc, assieme a vari ex parlamentari di sinistra – ha già vinto la sua scommessa.
Nel momento in cui il suo partito (Convergència Democràtica de Catalunya) è al centro di gravissimi casi di corruzione (le cui indagini si sono riattivate sospettosamente proprio in corrispondenza dell’appuntamento elettorale), lui non deve neppure comparire nei dibattiti elettorali, pur essendo il vero candidato, mentre il capolista Raül Romeva, ex eurodeputato rossoverde, non si prende certo la responsabilità di rispondere dei casi di corruzione del partito di Mas o dei suoi selvaggi tagli in sanità, educazione e servizi sociali. Gli ultimi sondaggi danno i due partiti che promettono un’improbabile indipendenza in 18 mesi (“Assieme per il sì” e la Cup, i movimentisti di estrema sinistra) intorno ai 67 seggi che segnano la maggioranza del parlamento catalano (di 135 seggi), ma molto lontani dalla maggioranza dei voti (intorno al 40%).
Il che è sorprendente: gli indipendentisti sono riusciti non solo a rimettere al centro dell’agenda politica in Spagna la questione catalana e, indirettamente, la questione costituzionale, forti anche del miope immobilismo del Pp, ma anche di trasformarlo in discorso politicamente egemonico. In modo tale che le posizioni sfumate (per esempio quelle federaliste, come i socialisti) o le opzioni politiche che si concentrano sull’asse sociale – è il caso della lista che unisce Podemos, rossoverdi di Icv e Izquierda Unida (“Catalogna sì, si può”) – sono destinati alla marginalità nel dibattito. Il 27 settembre vedremo per chi sarà vincente la scommessa soberanista di Mas.