sabato 12 settembre 2015

Corriere 12.9.15
La marea umana di Barcellona: «Libertat»
La storia dice che la gente va ascoltata E’ l’ora della libertà dopo 300 anni di oppressione
Mai fuori dall’Ue: non potete stare senza di noi
Urlano gli adolescenti, gridano le signore bene, le bandiere giallo-rosse avvolgono corpi e auto Centinaia di migliaia di catalani si riversano in piazza per chiedere l’indipendenza dalla Spagna
di Sara Gandolfi


BARCELLONA Centinaia di migliaia di catalani — 2 milioni per gli organizzatori, poco più di 500.000 secondo le stime meno credibili del governo spagnolo — hanno risposto all’appello, ieri, a Barcellona. Il corteo nazionalista tracima nei grandi viali del centro, per la festa della «Diada», con le bandiere giallo-rosse che avvolgono i corpi, le carrozzine, le poche auto che riescono a circolare in una città sospesa.
Come l’anno scorso e quelli prima ancora, ma stavolta è diverso. Lo si legge sui volti sorridenti e tesi di chi aspetta per ore sulla Meridiana. Lo si ascolta nel canto quasi rabbioso che sale, metodico, ogni dieci minuti «Inde-inde-independència». Urlano gli adolescenti, arrabbiati come solo i giovani riescono ad essere, come Lorente, quinto anno di liceo, armato di un cartello con la scritta «Libertat» e un pugno rosso disegnato accanto. Gridano le signore bene che oggi si sono infilate la T-shirt bianca con la scritta «Ara és l’hora» perché «è arrivato il momento di non pagare più le tasse a Madrid». Qualcuno cita Salvador Allende, altri i Paesi baltici fuoriusciti dall’ex Urss. Alla fine tutti applaudono l’americana che sul palco scandisce, in inglese: «We want our own independent State» (vogliamo il nostro Stato indipendente).
Strana rivoluzione quella che è andata in scena a Barcellona, a poco più di due settimane dal voto regionale che potrebbe aprire la più grave crisi politico-istituzionale in Spagna dalla fine del franchismo, se il fronte indipendentista conquisterà la maggioranza dei seggi e avvierà, come promesso, il processo verso la secessione. Non c’è quasi polizia per le strade — «tanto qui son tutti pacifici» assicura l’agente — solo tantissimi volontari, a controllare che nessuno soffochi nella calca. Compare anche il calciatore Gerard Piqué, amatissimo difensore del Barça e fischiatissimo membro della Nazionale spagnola, nonché marito della cantante Shakira. «Per me è una sinfonia se mi fischiano al Bernabeu (stadio del Real Madrid) — assicura —. La storia dice che bisogna ascoltare la gente, e qui parliamo di milioni di persone».
Non è l’unico Vip sceso in piazza a rivendicare il diritto all’auto-determinazione. La più appassionata è Carulla Montserrat, una celebrità del teatro spagnolo, che a 84 anni si candida alle elezioni del 27 settembre nel listone di Junts pel Sí, la piattaforma che il presidente della Catalogna Artur Mas ha creato unendo le forze del suo partito di centro-destra Cdc con la sinistra di Erc. Troppo diversi? «Siamo uniti nell’obiettivo: un Paese finalmente indipendente dopo 300 anni di oppressione — esclama Montserrat —. Le forze repressive, prima di Franco e poi del governo spagnolo, hanno affondato il nostro popolo. È dagli anni Quaranta che lotto per questo». Il muro spagnolo ieri ha iniziato ad incrinarsi. Dopo i tanti «no» del premier Mariano Rajoy — a una maggiore autonomia fiscale e poi alla richiesta di un referendum — è toccato al ministero degli Esteri, José Manuel Margallo, tentare una ricucitura: poche ore prima dell’inizio della campagna elettorale, ha insinuato la possibilità di cedere la quasi totalità delle imposte alla Catalogna.
Troppo poco e troppo tardi, per chi era in piazza ieri. «Abbiamo pagato sempre noi il debito di Madrid, e non parlo solo di conti economici ma anche culturali e storici», dice Nandu Jubany, chef stellato che esclude l’uscita dall’Unione Europea: «Come potreste mai stare senza di noi!». Accanto a lui sfila l’avvocato ottantenne August Gil Matamala, penalista che ha difeso per quindici anni i prigionieri politici di Franco e poi, a fine anni Ottanta, decine di militanti del movimento Terra Lliure: «A quei tempi, bastava alzare uno striscione con la scritta “indipendenza” per finire in galera, a Madrid».
Difficile prevedere cosa succederà. Artur Mas si sta giocando il tutto per tutto. Ora o mai più. Il vantaggio sembra risicato e la macchina dei volontari lavora a pieno ritmo nei call-center per convincere al telefono quell’inquietante 26% di indecisi. Lo scozzese Irvine Welsh, autore del romanzo cult Trainspotting , a fine giornata è comunque contento: «Emozionante, colorata, quest’ondata democratica è una grande opportunità non solo per i catalani ma per tutta la Spagna. Come lo è stato il movimento nazionalista scozzese per la politica britannica».