mercoledì 9 settembre 2015

Corriere 9.9.15
Tra i rifugiati intrappolati in Ungheria Il tempo scade, corsa disperata al nord
Budapest prepara l’esercito. Al collasso Lesbo: in ventimila ammassati sull’isola greca
di Maria Serena Natale


DALLA NOSTRA INVIATA ROSZKE (confine serbo-ungherese) Si alzano insieme, all’unisono, come avevano fatto quelli della stazione di Budapest, quelli che ce l’hanno fatta e ora sono al sicuro in Austria e Germania. Qui sono solo binari tra i girasoli, sotto nuvole che vanno a sud e con un freddo che entra nelle ossa. Altre centinaia, altri bambini spaventati perché i grandi urlano e fa già buio. La polizia li segue, poi si mette di traverso e blocca la stradina illuminata dai fari delle telecamere che allungano le ombre. Per un momento sono gli uni di fronte agli altri, si guardano in un silenzio irreale. Poi i disperati di Roszke sfondano.
Centottanta chilometri per Budapest, poi Austria e Germania, avanti con tutte le forze che restano perché tra pochi giorni si chiude. Il governo vuole mandare l’esercito in questa terra di frontiera dove si scappa in mezzo ai campi e in cielo volano gli elicotteri. Tra pochi giorni sarà permesso dalla nuova legge appena approvata, tra pochi giorni se ti beccano e sei clandestino rischi il carcere fino a tre anni. E anche l’Austria ci sta ripensando, in Europa si sono rimessi a litigare. La Danimarca ieri per la prima volta ha rispedito in Germania una ventina di rifugiati che volevano proseguire verso Nord. Il tempo scade, allora si torna a marciare. Sperando di trovare qualche treno da assaltare, come ieri ancora alla stazione Keleti. O qualche pullman diverso da questi che aspettano in coda davanti al centro di smistamento. Bagni chimici e spirali di filo spinato sui cancelli. In quelli di registrazione nessuno ci vuole andare.
L’Onu chiede uno stanziamento supplementare di 30,5 milioni di euro per affrontare l’emergenza fino alla fine dell’anno. L’Onu dice che le strutture di accoglienza sono insufficienti. Vicino al confine sale e s’allunga il muro chiesto da Viktor Orbán. Volevano inaugurarlo il 31 agosto e invece non è ancora finito. Dopo l’ispezione a sorpresa di lunedì ci ha rimesso la testa il ministro della Difesa. Oltre ai campi, le «strutture d’accoglienza» sono poche tende colorate. La maggioranza dorme all’aperto. Chi non dorme parte e grida: «No fingerprint», niente impronte digitali. «No camp», basta campi. Qualcuno dice pure «Allahu Akbar», più che un grido una preghiera. L’Onu dice che la polizia non è preparata a gestire l’emergenza. Gli agenti portano spray urticanti allacciati alla cintura e mascherine davanti alla bocca, nella corsa qualcuno perde pure la pistola. Una bambina non ce la fa a tenere il passo dei genitori, il padre deve scegliere tra lei e la coperta pesante che porta sulle spalle. Prende la figlia e chi viene dopo si trova la coperta.
Lo facciamo a ritroso questo viaggio. Germania, Austria, Ungheria, Serbia, Macedonia, Grecia. Ventimila sulla sola Lesbos in attesa di un traghetto per la terraferma. Samos, Kos, Agathonissi, sono al collasso le isole dove i profughi arrivano dalla Turchia. In 24 ore la Guardia costiera ha soccorso 500 persone in 11 operazioni. Le autorità locali s’arrangiano con rifugi su navi crociera e centri di identificazione sui campi di calcio. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon chiederà al prossimo premier di riferire all’Assemblea generale. Perché c’è anche la crisi politica in Grecia, dove il 20 si vota e il primo ministro Alexis Tsipras gioca la sua partita della vita.
In questa notte di grilli sulla strada di Roszke, dopo il passaggio dell’onda restano scarpe spaiate, piccole, piccolissime.