Corriere 8.9.15
La ricerca della Libertà
di Pierluigi Battista
I rifugiati che premono sui confini dell’Ovest in cerca di libertà e speranza ci ricordano i valori che abbiamo dimenticato.
Gridano «Freedom», i rifugiati che premono sui confini dell’Ovest. Ce lo eravamo dimenticati. Avevamo smarrito il senso di una differenza, di una linea di confine che divide nel mondo le terre della libertà, della democrazia, del benessere, dei diritti dal mondo buio dell’oppressione, dell’intolleranza, del terrore, della riduzione in schiavitù delle donne, della tortura, della miseria, delle carceri imbottite di dissidenti, di chi insiste a onorare un’altra religione, a credere in un’idea diversa, a essere semplicemente diverso. «Freedom», «Freedom». E stavolta l’Occidente ha saputo essere coerente con se stesso. Ha saputo, almeno per una volta, e si spera per molto tempo, far suoi i versi che campeggiano ai piedi della Statua della Libertà, quel «datemi le vostre masse stanche, povere, oppresse, desiderose di respirare libere. Mandateli a me i diseredati, gli infelici, i disperati». Non la generica disponibilità, l’effimera solidarietà, ma la coscienza di essere la meta di chi è desideroso di «respirare libero». È l’orgoglio della libertà. L’orgoglio della democrazia. Ecco qual è il messaggio di questi giorni: «Freedom», e ancora «Freedom».
La democrazia sembra un ideale stanco, estenuato. Ma per noi che ci siamo nati e che ne abbiamo smarrito il valore, la specificità, il privilegio. Per chi vive e muore nelle tirannie la democrazia è un traguardo da raggiungere a tutti i costi, con sacrifici immani, marce disumane, popolazioni in fuga da despoti e fanatici. Dovremmo riscoprire quella che adesso si definisce la «narrazione»: la narrazione della democrazia e della libertà. La narrazione di un sistema in cui le persone sono tutelate nei loro diritti, possono parlare senza il timore dell’oppressione e della morte. Dove le donne non sono bestie da malmenare e coprire fino agli occhi. Dove si può scegliere, vivere, consumare, svolgere un’attività economica, mettere a frutto il proprio talento senza che il potere confischi arbitrariamente i tuoi beni. Dove la tortura è bandita e, se scoperta, punita e, se non punita, bollata dalla riprovazione pubblica insieme all’impunità di chi se n’è reso responsabile.
Non una società perfetta. La democrazia, come sosteneva Churchill, «è la peggior forma di governo fatta eccezione per tutte quelle sperimentate finora». La libertà è sempre troppo poca. Nuovi diritti fanno fatica ad affermarsi. Vecchie discriminazioni sopravvivono, sia pur in forme sempre più blande. L’economia è troppo spesso soffocata da uno statalismo dispotico, illiberale, vessatorio. Ma la sensibilità pubblica nelle democrazie è sempre più esigente. Non ci si accontenta mai. I limiti vengono di continuo oltrepassati. È la «società aperta» di cui parlava Karl Raimund Popper, quella che spezza di continuo le proprie catene.
Ce lo siamo dimenticati. E la provvidenziale resipiscenza delle democrazie europee in questi giorni ce lo ha ricordato, insieme alla caparbietà delle «masse stanche, povere e oppresse» che premono ai nostri confini e distruggono reticolati, divieti, manganelli. E che vogliono «respirare libere». Dovremmo ricordarcelo ancora, chiedendoci anche se siamo disposti a pagare qualche prezzo perché la libertà e la democrazia possano sopravvivere all’assalto dei suoi nemici fanatici e portatori di un’ideologia di morte. Dovremmo chiederci se ci crediamo ancora, o se siamo troppo stanchi per crederci, e se quello che vagheggiano i rifugiati non sia altro che un’illusione. Dovremmo capire da cosa scappano, questi nostri fratelli che gridano «Freedom». E se il nostro cinismo non ci abbia portato a rinunciare all’«universalità» di valori in cui non crediamo più. A non considerare più uno scandalo l’esistenza di regimi che magari sanno tenere l’ordine, ma schiacciando ogni traccia di libertà, ogni parvenza di democrazia, senza rispetto per alcun diritto, senza dare alcun valore alle persone. Che oggi scappano. Gridano «Freedom». E ci stanno dando una lezione salutare.