lunedì 7 settembre 2015

Corriere 7.9.15
La mediazione sul nuovo Senato
di Maria Teresa Meli


«Sull’art. 2 non si molla» spiega Renzi ai suoi. La mediazione del governo sul Senato prevede una «lista di consiglieri regionali ad hoc», votata direttamente dai cittadini.
MILANO « Oggi si è visto da che parte sta il Pd, con chi sta la base». Al termine del comizio di chiusura della Festa nazionale dell’Unità, Matteo Renzi non prova nemmeno a nascondere la soddisfazione per gli applausi che gli ha tributato il popolo del Partito democratico. O per l’ovazione ricevuta quando ha ribadito che non accetterà veti sulla riforma costituzionale.
Insomma, il segretario a Milano è riuscito a dimostrare ciò che voleva. E ossia che la gente del Pd è con lui e non ne può più dei distinguo e delle liti.
Prima del suo intervento il premier ha ancora una volta riconfermato la linea sulla riforma costituzionale con i fedelissimi presenti alla Festa: «Sull’articolo 2 non si molla. Bersani e gli altri possono dire quello che vogliono: noi un’apertura l’abbiamo fatta, ma non ritorniamo certo al punto di partenza per farli contenti».
Quindi, al momento, la mediazione più avanzata per il governo è questa: una «lista di consiglieri regionali ad hoc», stilata dai partiti, ma che gli elettori potrebbero votare direttamente alle consultazioni per il rinnovo dei vertici delle Regioni. Queste modifiche, però, non verrebbero inserite nell’articolo 2 del ddl Boschi, bensì negli articoli 70 (quello sulle funzioni del Senato) e 122 (quello sugli emolumenti), nonché nelle disposizioni finali della normativa, come impegno dell’esecutivo.
L’impressione, nel quartier generale di Renzi, è che la minoranza non sia compatta e che ormai, una sua parte consistente non risponda più neanche a Bersani. Impressione che è suffragata dalle parole di Nico Stumpo, che, sotto il palco della Festa, spiega a un compagno di corrente: «La verità è che comunque al Senato una decina di dissidenti non accetterà mai nessun accordo, mentre altri cinque o sei vanno già per conto loro e non sappiamo quello che faranno».
Dunque, la situazione è questa. E, osserva ancora Stumpo, «nessuno mollerà adesso, perché noi non possiamo certo permetterci, ora che l’auto è in corsa, di staccare il piede dall’acceleratore». Nel frattempo, però, mentre pubblicamente fa la faccia feroce, Maurizio Migliavacca, cioè il vero plenipotenziario di Bersani sta trattando con Luigi Zanda e Anna Finocchiaro, benché non ci sia ancora un accordo alla luce del sole. E anche Vannino Chiti è per il confronto.
Insomma, il caos è notevole. E i segnali dal fronte degli oppositori interni sono contraddittori. Per questo tra i renziani si fa strada il sospetto che la minoranza, con il braccio di ferro ingaggiato al Senato, voglia soltanto dimostrare che i sui voti sono indispensabili. «Però così rischiano di andare a sbattere», spiega il premier ai collaboratori più fidati.
Già, perché, al di là delle drammatizzazioni plateali, tutti al Senato sanno che la riforma potrebbe passare senza l’appoggio dei dissidenti, grazie alle assenze o ai voti sottobanco di Forza Italia che teme le urne come la peste.
Però alcuni, nella minoranza, quasi spingono verso questa soluzione che permetterebbe loro di gridare nuovamente al patto tra Renzi e Berlusconi. L’altra ala, quella dei dialoganti, capeggiata da Bersani, punta invece ad avere in cambio voce in capitolo nella gestione del Pd. È questa, per loro, la posta in gioco. Perciò negli ultimi tempi si moltiplicano le voci di chi sottolinea la necessità di dividere il ruolo di segretario da quello di premier. L’obiettivo è una diarchia: Renzi premier, un ex ds segretario. E, magari, se a questa carica venisse candidato il Guardasigilli Andrea Orlando, nella partita potrebbero entrare pure i cosiddetti «giovani turchi».
Ma anche su questo versante Renzi sbarra il passo alla minoranza. Lo ha fatto ieri, alla Festa dell’Unita, rilanciando lui il ruolo del Pd, tornando a chiamare «sezioni» i circoli e solleticando l’orgoglio di partito della sua base.
Se sulla riforma costituzionale il segretario-premier è disposto a fare delle aperture, su questo fronte, invece, chiude a doppia mandata la porta.