domenica 6 settembre 2015

Corriere 6.9.15
Nuovo Senato, la sinistra frena. Ma si tratta
Serve ancora tempo, difficilmente entro settembre si arriverà a soluzioni condivise
Critiche all’ipotesi di scorporare il nodo elettività. Pizzetti: mandare a Palazzo Madama tutti i governatori
di Dino Martirano


ROMA «La trattativa con il segretario Renzi purtroppo non c’è», osserva il senatore della minoranza dem Massimo Mucchetti. Ma è pur vero che nei prossimi giorni «qualcosa dovrà per forza cambiare» sul fronte della riforma del Senato, risponde il sottosegretario per i Rapporti con il Parlamento Luciano Pizzetti (Pd).
E infatti nelle stanze del governo, davanti all’ impasse parlamentare perdurante, inizia a circolare l’ipotesi di spostare il confronto dal nodo dell’elezione indiretta dei senatori a quello della composizione del Senato dei 100. Immaginando di correggere il tiro inviando di diritto a Palazzo Madama, senza però aumentare il numero dei componenti, i governatori delle Regioni e magari anche i sindaci delle Città metropolitane: «Così, il Senato avrebbe una composizione ancora più autorevole e il nodo dell’elettività dei senatori, che corrispondono ad altrettanti consiglieri regionali, verrebbe sciolto di conseguenza, regione per regione, grazie a una legge di attuazione», azzarda Pizzetti immaginando l’attuazione del piano B senza toccare l’articolo 2 del testo (che comunque, alla fine, andrà votato).
Martedì 8, dunque, non sarà il d-day annunciato per la riforma Boschi perché serve ancora tempo per individuare un accordo che non c’è. Ma di cui tutti nel Pd parlano. La prossima settimana sfileranno in commissione al Senato i governatori, molti dei quali, a partire dal presidente Sergio Chiamparino, insisteranno sulla necessità di una loro presenza nella camera delle Regioni.
Dietro le quinte della Festa dell’Unità di Milano, che verrà chiusa oggi dal segretario Matteo Renzi, si moltiplicano gli incontri tra renziani ed esponenti della minoranza dem (forti di 25-28 senatori pronti a dare filo da torcere sull’elezione diretta del nuovo Senato): «Non possiamo perdere questa occasione per riformare il bicameralismo ma la soluzione ancora non c’è», ammette il deputato della minoranza Andrea Giorgis. Sulla tavola c’è ancora la «minestra riscaldata» (la definizione è del bersaniano Gotor) che Renzi vorrebbe somministrare alla riluttante minoranza come estrema concessione: la pietanza prevede di non toccare l’articolo 2 della riforma (composizione ed elezione indiretta del Senato) ma apre sulla legge ordinaria di attuazione che poi premetterebbe alle regioni di far votare dai cittadini un listino in cui compaiono i nomi dei candidati destinati a fare il doppio lavoro di consigliere regionale-senatore.
La minoranza del Pd ha chiarito che questo principio (i senatori indicati dagli elettori) non può rimbalzare in una legge di attuazione: «La via maestra è quella di scrivere in Costituzione che il Senato è eletto dai cittadini», insiste il senatore dem Federico Fornaro.
In realtà, l’accordo non c’è perché nel Pd ci si guarda reciprocamente con diffidenza. Il governo non si fida della minoranza del Pd, che pure dice di voler andare «avanti con le riforme», e per questo prospetta soluzioni che non intacchino l’architrave dell’articolo 2: «Vorrei capire se la volontà dei senatori della minoranza è quella di dare al Paese una riforma del bicameralismo attesa e promessa o quella di lanciare ultimatum», dice il senatore Franco Mirabelli (Pd). Ma sulla carta, risponde la minoranza dem, ci sono 176 senatori favorevoli all’elezione diretta e questo non vuol dire sabotare la riforma del bicameralismo.