Corriere 3.9.15
L’avventura di Alessandro Magno spezzata da una morte misteriosa
Travolti i Persiani, il condottiero macedone sognava l’impero universale
E si comportava sempre più da monarca assoluto. Forse fu avvelenato
di Eva Cantarella
A Nord Est della penisola ellenica si estendeva la Macedonia, una regione montagnosa abitata da una popolazione in parte di stirpe greca, governata da un re dai poteri molto diversi da quelli dispotici e assoluti dei sovrani orientali. Attorno al re stava un’aristocrazia guerriera, dalle cui file il monarca proveniva, che grazie al continuo contatto con i Greci ne aveva assunto usi e costumi. Nel V secolo a.C. la capitale del regno, Pella, era una città culturalmente importante, frequentata da molti intellettuali greci. Ma la grande svolta nella storia della Macedonia ebbe luogo nel corso del IV secolo: mentre le poleis greche si logoravano in interminabili guerre, il re Filippo II, che coltivava da tempo un progetto di espansione territoriale, approfittò di una lite tra le rissose città e, affermando strategicamente il carattere greco del proprio regno, scese con le sue truppe nel territorio, presentandosi come alleato e pacificatore.
Comprensibilmente, questo destò non poche preoccupazioni ad Atene, dove si fronteggiavano due tendenze: da un canto i pacifisti filomacedoni (tra cui l’oratore Eschine), dall’altro i radicali guidati da Demostene, che aveva lucidamente intuito che una vittoria di Filippo avrebbe rappresentato, oltre alla fine di Atene, anche quella della civiltà della polis . Ma nonostante l’alleanza con Tebe nel 338, l’esercito greco fu sconfitto nella battaglia di Cheronea. Filippo, padrone della Grecia, annunziò un grande spedizione contro la Persia, ma nel 336 venne assassinato, e il titolo regale passò a suo figlio Alessandro, allora ventenne.
Dotato di forte carattere, di grande intelligenza e di un indiscutibile carisma, Alessandro si era formato alla scuola di Aristotele, che il padre aveva voluto a Pella come suo precettore. Le premesse perché si dimostrasse all’altezza della situazione non mancavano, ma Alessandro superò ogni aspettativa. Quando nel 334 parti per l’Oriente, non intendeva solo conquistare la Persia: voleva costruire un impero da realizzare grazie alla fusione di conquistatori e vinti. Non a caso, dunque, il suo esercito era accompagnato da scienziati, cartografi, medici, storici, filosofi e uomini di cultura, che dovevano testimoniare l’attuazione di un progetto politico e culturale che pareva irrealizzabile, e che egli invece realizzò. Superando frontiere sconosciute, sottomettendo popoli, distruggendo città e fondandone altre, nel 331, presso Gaugamela (vicino alle rovine dove un tempo sorgeva Ninive, la capitale degli Assiri) sconfisse definitivamente le truppe di Dario III. L’impero persiano era finito.
Alessandro, dando prova di quella che le fonti chiamano la sua megalopsychia (grandezza d’animo), per prima cosa istruì alla lingua e alla cultura greca trentamila giovani persiani, destinati a essere il nucleo del nuovo popolo. Per incoraggiare i matrimoni misti sposò Statira, figlia di Dario III e Parisatide, e diede in moglie le migliori ragazze persiane ai suoi amici (fra cui il suo giovane, amatissimo amante Efestione). Ma l’impresa era ben lontana dall’essere compiuta. Innanzi a lui si aprivano territori immensi, sino ai confini dell’India e oltre: il sogno di un grande impero universale sembrava vicino, e Alessandro intendeva realizzarlo. Ma l’esercito era stremato, non capiva, non condivideva più i suoi progetti.
Circondato da adulazione perenne, Alessandro aveva preso atteggiamenti da sovrano assoluto: dai suoi generali, ad esempio, pretendeva la proskynesis , l’atto di prostrarsi al suolo che i Persiani compivano dinanzi al loro re: per i Greci era semplicemente inconcepibile. Cominciarono le congiure, duramente represse, anche la morte (ivi compresa quella del suo generale Parmenione). E in un giorno del 323 Alessandro morì a Babilonia, dopo una brevissima malattia, il cui decorso è narrato nel diario di corte riferito da Plutarco. Al momento nessuno parlò di avvelenamento, ma poi le voci presero a circolare, e vi fu persino chi disse che a suggerire l’azione e a procurare il veleno sarebbe stato Aristotele.
Così, con questa morte il cui mistero non è mai stato risolto, ha inizio il periodo noto (con nome dovuto allo storico tedesco dell’Ottocento Johann Gustav Droysen) come ellenismo, vale a dire «grecizzazione». A governare gli sterminati territori dell’impero fondato da Alessandro aspiravano tutti coloro che avevano collaborato alla sua costruzione, che si scontrarono per oltre vent’anni, al termine dei quali l’impero si frantumò in una serie di regni autonomi (la Macedonia, la Siria, il regno di Pergamo, quello d’Egitto). Attorno al 300 a.C. il processo di formazione delle cosiddette monarchie ellenistiche si può dire terminato, e ciascuna di esse sviluppò una storia propria, che durò circa 300 anni (l’Egitto, che durò più a lungo, cessò di esistere nel 30 a.C.). Quello che maggiormente caratterizzò questi Stati dal punto di vista sociale e politico fu il loro rapporto con coloro che vi appartenevano: non più cittadini, ormai tutti e solamente sudditi.