giovedì 3 settembre 2015

Corriere 3.9.15
La sconfitta di Benjamin Netanyahu
Il 34° senatore «dem» ha detto sì Obama blinda l’intesa con l’Iran
Svolta per la Casa Bianca: ora ha i numeri per imporre un veto presidenziale
di Massimo Gaggi


NEW YORK Alla fine Barack Obama l’ha spuntata: l’accordo nucleare negoziato con l’Iran, osteggiato da Israele e dai repubblicani Usa, resterà in vigore anche in caso di voto contrario da parte del Congresso: la Casa Bianca porrà il veto e da ieri, dopo le prese di posizione dei senatori Casey, Coons e Mikulski, il leader americano ha la certezza di avere, almeno in un ramo del Parlamento, i voti necessari (34 al Senato) per respingere il prevedibile tentativo della destra di vanificare il veto presidenziale: un atto estremo che richiede una maggioranza dei due terzi in tutte e due le camere.
A Capitol Hill la lobby ebraica si è impegnata in una campagna di un’intensità senza precedenti per cercare di ottenere dal Congresso un voto capace di far naufragare l’accordo sul nucleare iraniano siglato dagli Usa, dai Paesi Ue (Gran Bretagna, Francia, Germania) e da Russia e Cina. L’Aipac, l’associazione ebraica che ha legami molto forti con tutti e due i partiti Usa, ha «marcato a uomo» i parlamentari e stanziato circa 40 milioni di dollari per campagne contro l’intesa. Chuck Schumer, uno dei due senatori democratici che hanno ufficializzato il loro «no» all’accordo voluto da Obama (l’altro è Robert Menendez), si è ritrovato l’ufficio invaso da ben 60 attivisti dell’Aipac nei giorni precedenti alla sua presa di posizione. Ma Obama ha investito molto, nei suoi anni alla Casa Bianca, su una ripresa del dialogo con l’Iran degli ayatollah e non era disposto a farsi spiazzare: così ha ribattuto all’offensiva dei movimenti filo-Israele (non tutti: una parte della comunità ebraica appoggia l’intesa) con altrettanta durezza. Ha accusato chi si oppone all’accordo di voler andare alla guerra con l’Iran, ripetendo l’errore fatto 13 anni fa attaccando l’Iraq. Ed è arrivato a dare interviste a giornali e televisioni minori, ma influenti in collegi nei quali vengono eletti parlamentari democratici ancora indecisi su come schierarsi.
Trattando da guerrafondaio chi si oppone all’accordo anche quando oppone dubbi legittimi, Obama ha sicuramente esagerato (e infatti negli ultimi giorni ha corretto il tiro), ma alla fine l’ha spuntata: ora l’accordo con Teheran è al sicuro anche in caso di bocciatura del Congresso che dovrà votare entro il 17 settembre. Ma adesso Obama spera addirittura di evitare anche questa prima bocciatura: alla Camera, dove la maggioranza di destra è molto ampia, non ha speranze, ma al Senato, in base alle norme sul «filibustering» tante volte usate per paralizzare l’azione del governo democratico, al presidente bastano 41 voti su 100 per costruire una minoranza di blocco. Obiettivo difficile da centrare ma non impossibile.
Attualmente i senatori impegnati a bocciare l’accordo sono 43 e quelli pronti a farlo altri 13: in totale 56 su cento, i 54 repubblicani più due democratici; 34 senatori si sono già impegnati a sostenere il patto con Teheran e altri due sembrano orientati a seguirli. Tutto si gioca, quindi, su 8 democratici ancora incerti. Per Obama sarebbe importante evitare la bocciatura per togliere forza alla campagna repubblicana che sarà comunque vigorosa anche se gli oppositori dell’accordo non riusciranno a bloccare la sua entrata in vigore. Tanto più che diversi dei senatori arruolati dal presidente voteranno senza entusiasmo (quando non con riluttanza) solo perché convinti che, al punto in cui sono le cose, non è realistico sperare in una rinegoziazione del patto né in un ripristino delle sanzioni da parte di Cina, Russia e degli stessi Paesi europei.
Storicamente gli ebrei americani sono più vicini ai democratici che ai repubblicani, ma stavolta Schumer e Menendez sono rimasti abbastanza isolati. Il secondo, un senatore del New Jersey azzoppato da un’accusa di corruzione, ha fatto molto riflettere i suoi colleghi quando ha detto che la speranza che alla scadenza dell’accordo (tra 10-15 anni), l’Iran rinunci all’arma nucleare per non perdere i benefici dell’integrazione nell’economia mondiale, «è appunto, solo una speranza. Che è un sentimento umano legittimo, ma non e’ una strategia per la sicurezza nazionale»-