mercoledì 30 settembre 2015

Corriere 30.9.15
SE l’attacco a Rai3 arriva dai compagni
Il rebus della sinistra televisiva
di Antonio Polito


Annoiati dallo scontro sul Senato elettivo? Stufi dei primi piani di Gotor e Chiti? Niente paura. La prossima «guerra culturale» della sinistra si preannuncia molto più eccitante e fotogenica, quasi berlusconiana; perché si combatterà, come ai vecchi tempi, per la televisione e le sue star.
In gioco c’è il destino di Rai3, molto più di una rete, vera e propria chiave d’accesso al cuore e alle menti del popolo di sinistra, resistenza catodica di un mondo che fu, a metà strada tra Guccini e Ingrao, e ne fu orgoglioso.
Prima Renzi, col fioretto del sarcasmo sull’audience dei talk show, poi il suo uomo in Vigilanza Michele Anzaldi, con la mazza ferrata di un minieditto bulgaro, e infine l’ineffabile governatore della Campania De Luca, con il kalashnikov dell’accusa di «camorrismo giornalistico», hanno reso chiaro che il Pd ripudia la «sua» rete, della quale non si sente più amato e rispettato «editore di riferimento». L’accusa, esplicitata da Anzaldi, è molto chiara: a Rai3 e al Tg3 non hanno ancora capito chi è il nuovo padrone, cioè chi comanda nel partito che comanda.
E in effetti Rai3 è un bel rompicapo fin dai tempi del Pci. Va benissimo quando la sinistra è all’opposizione, e anzi ne diventa il simbolo: quante carriere, quanti martirologi, da Michele Santoro a Sabina Guzzanti, si sono costruiti in quegli studi cantando Bella Ciao contro il regime berlusconiano! Ma, non appena la sinistra va al governo, Rai3 diventa indigesta, perché alla fine i media sono fatti dai loro lettori prima ancora che dai loro direttori, e il telespettatore di Rai3 vuole sapere ciò che non va, non ciò che funziona; vuole la denuncia, non l’agiografia; affida all’inchiesta, al talk show, alla satira il compito esorbitante di vendicare i torti della società; sogna giornalisti che si tramutino in pubblici ministeri dell’informazione (e molti aderiscono di buon grado). Non per niente la chiamavano TeleKabul. Il mito della spina nel fianco del potere. E chi è al potere, comprensibilmente, non gradisce. E lo dice ad Anzaldi. Che non è certo Goebbels, come scrive Grillo, ma gli pare strano se un Tg critica il governo.
È una storia vecchia come il cavallo di via Mazzini. Solo che Renzi aveva promesso, con grande giubilo collettivo, di mettervi fine, annunciando una rivoluzione: «fuori i partiti dalla Rai», la «più grande azienda culturale del Paese» che si libera di tessere e padroni, che non prende più ordini, cari giornalisti e programmisti sentitevi liberi di pensare solo al pubblico, e all’interesse generale. Poi, si sa come è andata. La riforma si è arenata, il nuovo cda è stato eletto esattamente come ai tempi di Gasparri, gli uomini di partito sono tornati a fare i consiglieri, basta con questa bufala della società civile, e gli uomini di partito della Vigilanza sono tornati a comandare, un po’ meno urbanamente di un tempo.
L’unica differenza è che, stavolta, non si sente volare una mosca. Neanche un girotondo, un ottavo nano da salvare, un articolo 21 da invocare. Perfino la sinistra televisiva cambia. Solo la Rai, quella no, resta sempre la stessa .
P rima Renzi, col fioretto del sarcasmo sull’audience dei talk show, poi il suo uomo in Vigilanza Michele Anzaldi, con la mazza ferrata di un minieditto bulgaro, e infine l’ineffabile governatore della Campania De Luca, con il kalashnikov dell’accusa di «camorrismo giornalistico», hanno reso chiaro che il Pd ripudia la «sua» rete, della quale non si sente più amato e rispettato «editore di riferimento». L’accusa, esplicitata da Anzaldi, è molto chiara: a Rai3 e al Tg3 non hanno ancora capito chi è il nuovo padrone, cioè chi comanda nel partito che comanda.
E in effetti Rai3 è un bel rompicapo fin dai tempi del Pci. Va benissimo quando la sinistra è all’opposizione, e anzi ne diventa il simbolo: quante carriere, quanti martirologi, da Michele Santoro a Sabina Guzzanti, si sono costruiti in quegli studi cantando Bella Ciao contro il regime berlusconiano! Ma, non appena la sinistra va al governo, Rai3 diventa indigesta, perché alla fine i media sono fatti dai loro lettori prima ancora che dai loro direttori, e il telespettatore di Rai3 vuole sapere ciò che non va, non ciò che funziona; vuole la denuncia, non l’agiografia; affida all’inchiesta, al talk show, alla satira il compito esorbitante di vendicare i torti della società; sogna giornalisti che si tramutino in pubblici ministeri dell’informazione (e molti aderiscono di buon grado). Non per niente la chiamavano TeleKabul. Il mito della spina nel fianco del potere. E chi è al potere, comprensibilmente, non gradisce. E lo dice ad Anzaldi. Che non è certo Goebbels, come scrive Grillo, ma gli pare strano se un Tg critica il governo.
È una storia vecchia come il cavallo di via Mazzini. Solo che Renzi aveva promesso, con grande giubilo collettivo, di mettervi fine, annunciando una rivoluzione: «fuori i partiti dalla Rai», la «più grande azienda culturale del Paese» che si libera di tessere e padroni, che non prende più ordini, cari giornalisti e programmisti sentitevi liberi di pensare solo al pubblico, e all’interesse generale. Poi, si sa come è andata. La riforma si è arenata, il nuovo cda è stato eletto esattamente come ai tempi di Gasparri, gli uomini di partito sono tornati a fare i consiglieri, basta con questa bufala della società civile, e gli uomini di partito della Vigilanza sono tornati a comandare, un po’ meno urbanamente di un tempo.
L’unica differenza è che, stavolta, non si sente volare una mosca. Neanche un girotondo, un ottavo nano da salvare, un articolo 21 da invocare. Perfino la sinistra televisiva cambia. Solo la Rai, quella no, resta sempre la stessa .
Antonio Polito