martedì 29 settembre 2015

Corriere 29.8.15
Catalogna. Ildefonso Falcones
«Adesso tutto può accadere Anche l’esercito nelle strade»
intervista di Elisabetta Rosaspina


Allora è fatta? Adiós Madrid?
«C’è poco da scherzare. Questa è una storia terribilmente seria. E molto grave».
Lontano dall’euforia della piazza indipendentista, l’avvocato civilista Ildefonso Falcones, 56 anni, più celebre nel mondo per il suo hobby, quello di scrivere romanzi storici che poi vengono tradotti in più di trenta lingue e venduti in milioni di copie, non si lascia scappare nemmeno un sorriso sui sogni di sovranità nazionale dei suoi conterranei, vincitori di queste elezioni in Catalogna; e sui maestosi scenari che si schiudono adesso ai loro occhi: la Repubblica catalana, un Tesoro catalano, ambasciate catalane all’estero, bandiere catalane al Palazzo di Vetro di New York e al Palazzo d’Europa di Strasburgo. Barcellona finalmente caput mundi: la prospettiva non seduce affatto l’autore de La cattedrale del mare, monumentale affresco della società catalana del 1300.
In fondo ora che può succedere? Queste erano soltanto elezioni regionali, non il referendum sull’indipendenza, che sarebbe oltretutto anticostituzionale in Spagna.
«Che può succedere? Quello che è successo è già enorme. Ora nessuno sa quello che ci aspetta. Quelli fanno maledettamente sul serio. L’hanno detto e ripetuto fino alla noia che questo, per loro, è in realtà un referendum sull’indipendenza e che, con la maggioranza dei voti o dei seggi sarebbero andati avanti in ogni caso. Il nuovo parlamento catalano proclamerà l’indipendenza dal governo centrale. Lo farà di sicuro. E allora davvero Dio solo sa che cosa accadrà».
Vuol dire che tutti gli elettori che hanno votato la coalizione di Junts pel Sì e per Artur Mas, vogliono davvero la secessione dalla Spagna?
«Certo. Su questo si è fondata tutta la loro campagna elettorale. Sarebbe un grosso errore pensare che scherzassero. Se c’è qualcuno che riteneva di esprimere così semplicemente un voto di protesta contro il potere centrale, è uno stupido. Artur Mas andrà avanti per la sua strada e farà esattamente quel che ha promesso. Dichiarerà unilateralmente l’indipendenza».
Senza avere dalla sua parte la maggioranza assoluta dei catalani?
«Esatto. Intanto è riuscito a spaccare in due la società catalana. A dividerci tra catalani buoni e catalani cattivi. A creare una tensione sociale dalle conseguenze imprevedibili e pericolose».
Sta alludendo alla possibilità di scontri di piazza?
«Me lo chiedono anche i miei figli e non so che cosa rispondere loro. Davvero: non lo so. A loro ho detto semplicemente che bisogna accettare il voto della maggioranza. Entrerà l’esercito in Catalogna?, mi domandano. Non lo so!, rispondo. Chi può saperlo? Nessuno».
Insomma, non si aspettava questo risultato?
«Sì che me lo aspettavo. I sondaggi lo annunciavano da tempo e senza margini di incertezza. Il governo di Mariano Rajoy, però, ha scommesso sulla paura. Nella sede del Partido Popular, a Madrid, pensavano che bastasse agitare lo spettro di una catastrofe economica o dell’isolamento in Europa. E hanno perso».
In effetti, la Catalogna indipendente dovrebbe riaprire i negoziati con l’Unione Europea per essere riammessa come nazione.
«Sì, ma non penso che sarebbe lasciata fuori, alla fine. Sarà comunque una lunga traversata nel deserto per i catalani: gli economisti ci avevano avvisato. C’è una generazione, quella dei miei figli, che rischia molto a causa dell’indipendentismo. E io non voglio che i miei figli appartengano a una generazione perduta».
Sta prendendo in considerazione la possibilità di lasciare Barcellona, se la Catalogna si staccasse veramente dalla Spagna?
«No. Spero proprio di no. Non credo che sarà necessario. Qualunque cosa avvenga, confido che sia un processo pacifico. Da un lato e dall’altro. Ma la storia insegna che può anche andare diversamente. Ci sono stati casi simili in Europa e sono stati accompagnati da rivoluzioni. Molti non pensano che si arriverà a tanto. Neanch’io. Ma non c’è proprio da scherzare».