martedì 15 settembre 2015

Corriere 29.5.15
l’Islam in Europa, i tempi dell’integrazione
risponde Sergio Romano


In Europa stanno arrivando centinaia di migliaia se non milioni di extracomunitari di religione musulmana. Si parla frequentemente della possibilità di una loro integrazione nei diversi Paesi europei dove sono diretti. Ma questo sarà possibile o i musulmani tenderanno a creare uno Stato nello Stato? C’è qualche esempio in Europa di integrazione riuscita? Com’è la situazione in Francia dove, a causa dell’esodo dall’Algeria negli anni 60, esistono nuove generazioni di religione musulmana nate e cresciute in Francia ?
Pietro Volpi

Caro Volpi,
Gli immigrati provenienti dal Maghreb negli anni Sessanta erano principalmente «pieds-noirs», vale a dire coloni di origine europea (soprattutto francesi, ma anche italiani e spagnoli) che si erano installati in Algeria sin dal secolo precedente. Ne avevano trasformato l’agricoltura e la consideravano una seconda patria, ma più di un milione se ne andò precipitosamente, spesso lasciando l’automobile sulla banchina del porto, quando la vecchia colonia francese, nel 1962,conquistò l’indipendenza. L’immigrazione sociale, invece, cominciò negli anni Settanta e moltiplicò rapidamente la presenza maghrebina sul suolo francese quando il governo permise il ricongiungimento delle famiglie.
Da quel momento la politica del governo francese è stata per molti aspetti esemplare. Gli immigrati provenienti dal Maghreb sono divenuti rapidamente cittadini della Repubblica. Alla prima delle loro esigenze, la casa, il governo ha risposto con un ambizioso programma edilizio. Alla loro cultura è stato reso omaggio con la creazione, durante la presidenza Mitterrand, dell’«Institut du Monde arabe», uno dei maggiori centri europei di studi e ricerche sulla civiltà araba. Sotto il profilo della tolleranza religiosa, la Francia è una delle terre più ospitali del mondo occidentale: i suoi cittadini musulmani sono, grosso modo, cinque milioni e i suoi cittadini ebrei mezzo milione.
Il principio a cui lo Stato francese si attiene scrupolosamente in questo campo è quello della neutralità. Quando vi furono incidenti nelle scuole fra ragazzi ebrei e musulmani, una commissione istituita dal governo raccomandò di vietare nelle aule scolastiche l’ostentazione di qualsiasi simbolo religioso: la croce dei cristiani, il velo dei musulmani, la kippà degli ebrei.
Non sempre, malauguratamente, queste politiche hanno dato i risultati desiderati. I grandi edifici, costruiti nelle periferie per alloggiare i nuovi arrivati sono diventati ghetti, dove il malessere sociale può creare, contemporaneamente, criminalità e fanatismo. La congiuntura economica e l’aumento della disoccupazione hanno peggiorato le condizioni di vita di tutti gli immigrati. Le scuole, benché neutrali, continuano a essere bersaglio di iniziative terroristiche. La destabilizzazione del Medio Oriente, dopo la guerra irachena e le rivolte arabe, hanno prodotto i loro effetti peggiori, in Europa, là dove i giovani arabi sono più numerosi. Aggiungo che l’integrazione dello straniero in Francia è stata in passato un problema di cittadinanza e di educazione scolastica, vale a dire un processo destinato a creare una nuova coscienza nazionale soprattutto negli immigrati di prima e seconda generazione. Quel processo, oggi, è stato reso più difficile dal multiculturalismo, una teoria sociale che finisce per creare gruppi etnico-religiosi separati e autonomi, esposti all’influenza di piccoli leader, custodi della ortodossia, seminatori odio. Non sarei pessimista, tuttavia. Oggi vediamo soprattutto le carenze della politica d’integrazione. Domani, quando il tempo avrà fatto il suo lavoro, ne vedremo i risultati.