Corriere 15.9.15
Se una macrobiblioteca digitale spiazza il business dell’informazione
di Robert Darnton
O ggi siamo in grado di creare una biblioteca digitale che aggreghi i contenuti in possesso delle nostre più grandi biblioteche di ricerca, rendendoli accessibili a chiunque. Abbiamo i fondi, la tecnologia, le conoscenze e la determinazione acciocché succeda. Naturalmente ci troviamo anche di fronte a degli ostacoli. Come collegare in un solo sistema interoperativo dati da fonti incompatibili? Come curare il materiale preservandolo per le generazioni a venire? Come sconfiggere l’analfabetismo e la dilaniante povertà che confina buona parte della popolazione mondiale di là dai confini della cultura del libro? Non voglio sottovalutare queste difficoltà; ma vorrei concentrarmi su un problema che tende a passare inosservato perché pervade il nostro mondo così completamente da farcelo accettare come l’aria che respiriamo. È il potere della commercializzazione. Gli interessi commerciali hanno bloccato i canali di comunicazione e stanno esigendo un dazio per l’accesso all’informazione – ogni informazione, compresa quella più valida, quella che possiamo trasformare in sapere. [...]
La commercializzazione ha accompagnato il diritto d’autore dalle sue origini – e necessariamente, poiché i libri sono oggetti con valore commerciale; gli editori si sono sempre battuti per trarne profitto e la battaglia ha implicato lo sfruttamento di ogni possibile vantaggio, che fosse attraverso leghe, cartelli, monopoli e lobby. Il dibattito sull’autorialità è infestato dallo spettro del monopolio.
In generale, la storia dei libri è una storia di illusions perdues , specialmente se ci si aspetta di seguire una traiettoria progressiva che porti al lieto fine nel presente. Oggi la questione non è se gli interessi economici debbano rimpiazzare la democratizzazione o viceversa ma piuttosto come possiamo trovare un corretto equilibrio fra i due. Se l’accesso al sapere sta venendo chiuso, come possiamo riaprirlo?
Considerate Google Book Search. Originariamente era un’ottima idea. Grazie alla sua maestria tecnologica, alla sua energia, alla sua ricchezza e alla sua sfrontatezza, Google si è organizzato per digitalizzare tutti i libri nelle più grandi biblioteche di ricerca del mondo. Ma sulle prime forniva solo un servizio di ricerca: cercavi un argomento e Google ti mostrava dove appariva in un particolare libro con brandelli di poche frasi – accompagnate con discrezione da un po’ di pubblicità – per illustrare il suo utilizzo. Talvolta Google ti diceva perfino dove potevi trovare il libro in una biblioteca nei dintorni. I bibliotecari erano felici; i lettori, entusiasti .
Ma scavandosi scaffale dopo scaffale la strada fra le collezioni bibliotecarie verso lo scopo di digitalizzare qualsiasi libro esistente, Google ha oltrepassato la linea che divideva i libri di dominio pubblico da quelli sottoposti a diritto d’autore. Nel 2005 la Authors Guild e la Association of American Publishers hanno fatto causa a Google per avere infranto il diritto d’autore. Per tre anni e mezzo le parti hanno negoziato un’intesa che avrebbe soddisfatto gli interessi di entrambe.
Quando hanno annunciato il risultato, depositando il 28 ottobre 2008 un accordo presso la Southern Federal District Court di New York, il motore di ricerca si era trasformato in biblioteca commerciale che avrebbe venduto abbonamenti per consentire l’accesso al suo database digitale. Google avrebbe preso il 37 per cento dei profitti; gli autori e gli editori il 63 per cento. Alle biblioteche, che avevano in prima istanza fornito gratuitamente i libri a Google, veniva richiesto di ricomprare l’accesso alla versione digitalizzata dei propri stessi libri a prezzi che sarebbero stati stabiliti da Google e dai querelanti. Il pubblico non venne consultato e nessuna autorità pubblica fu incaricata di sorvegliare l’impresa.
Il 23 marzo 2011 il giudice della corte distrettuale respinse l’accordo. Fra le varie obiezioni notava il pericolo espresso in due memorandum sottoposti dal Ministero della Giustizia, ossia che Google Book Search avrebbe potuto soffocare la concorrenza violando lo Sherman Act sull’antitrust. Per quanto ponesse condizioni per rivedere l’accordo, esse non erano conformi al piano industriale di Google e quindi a quanto pare l’accordo è spacciato. Google troverà un sacco di utilizzi lucrativi per le informazioni che ha accumulato, ma ha fallito nel tentativo di creare una biblioteca commerciale chiusa più grande di quanto mai si fosse potuto immaginare.
Il suo fallimento mostra i limiti della commercializzazione nell’era moderna dell’informazione – e anche i suoi pericoli, poiché per un po’ è parso che un’impresa commerciale potesse rinchiudere in uno steccato un’enorme distesa della nostra cultura comune così da sfruttarla per il proprio tornaconto. Penso che ci siano due lezioni da imparare da Google Book Search. La prima è che è possibile costruire una macro-biblioteca digitale; la seconda, che questa biblioteca dovrebbe essere concepita e gestita per il bene pubblico.
(Traduzione dall’inglese di Antonio Gurrado)