domenica 27 settembre 2015

Corriere 27.9.15
Catalogna
Gli indipendentisti oggi puntano alla maggioranza assoluta alle regionali per proclamare l’addio alla Spagna
«Come Joan Miró, non ci fidiamo più»
di Francesco Battistini


Circa 5,5 milioni di catalani oggi eleggono il Parlamento regionale. Il presidente della Generalitat Artur Mas ha trasformato il voto in un plebiscito sull’indipen-denza, dopo che Madrid ha impedito un referendum La coalizione Junts pel Sí, che sostiene Mas, ha promesso in caso di vittoria l’avvio di un processo che porterà alla secessione entro 18 mesi Secondo gli ultimi sondaggi Junts pel Sí (con circa 65 seggi su 135) e gli alleati radicali della Cup (8-10) avrebbero insieme la maggioranza assoluta dei seggi nel nuovo parlamento catalano e sfiorerebbero il 50% dei voti Catalogna

GALLIFA (Catalogna) Milleseicento euro: anche quest’anno, e per il terzo anno, il governo Rajoy dovrà farne a meno. Gallifa non paga. Gallifa non si piega. L’indipendenza è già qui e ora. «La nostra sovranità di nazione ce la siamo proclamata da soli», dice l’Asterix della Catalogna, Jordi Fornas, capo del primo paese totalmente despagnolizzato, 215 abitanti fieri e non da ieri: «Da sindaco, allora ci ho messo poco a convincerli. Da catalano, oggi vorrei convincere tutti gli altri a fare come noi».
A Barcellona stasera diranno che «ara és l’hora» dell’indipendenza? A Gallifa, l’ora fatale dello strappo scoccò il 28 settembre 2012. Con una seduta dell’ajuntament. Con la lettura della solenne Dichiarazione, «che silenzio c’era…». Con un annuncio sognato dai Salvini di tutto il mondo: mai più un soldo alla capitale ladrona. «Sovranità fiscale, che è una cosa diversa dalla rivolta»: i 1.600 euro di servizi che il villaggio deve allo Stato centrale, ogni tre mesi vengono affidati direttamente all’Agenzia catalana delle imposte, «perché siano spesi in Catalogna». Un po’ come faceva Joan Miró, raccontano, che veniva a dipingere su questi colli e poi mandava i suoi capolavori surrealisti giù a dorso di mulo, per l’unica strada: «Non si fidava, non voleva finissero nelle mani sbagliate».
Ci vuole il binocolo, da Gallifa, per vedere la Spagna. In senso letterale: sulla piazza, fino a qualche mese fa sventolavano enormi solo le bandiere stellate della Catalogna e lo stemma del paese, gallo rosso su campo giallo, mentre il simbolo spagnolo era ridotto a un francobollo invisibile sul muro del municipio. «Fosse per me non lo metterei neanche lì», diceva Fornas a chi gl’intimava di rispettare la legge. Le bandiere sono state tutte tolte, per evitare grane giudiziarie. Ma se al voto di oggi gl’indipendentisti stravinceranno, ed entro 18 mesi proclameranno davvero l’indipendenza, nella libera patria catalana di Gallifa sono già pronti a tirare fuori i gonfaloni. E a rompere gl’indugi: «L’indipendenza si può fare subito. Non servono diciotto mesi».
Serve una maggioranza assoluta. Schiacciante e convincente. Fino a una settimana fa, molti sondaggi la davano per certa. E Artur Mas, il presidente regionale uscente e (per la terza volta) rientrante, aveva deciso di giocarsi tutto: anticipando il voto per il Parlamento catalano, trasformandolo in un referendum sulla secessione. O la va o la spacca, «prendiamo 68 seggi su 135 e in un anno e mezzo ce ne andiamo via da Madrid». Non è folklore: è la Spagna che torna a dividersi, scrive El Mundo , ed è il voto più importante dalla morte di Franco.
Uno strappo illegale e contro la Costituzione, avverte Rajoy: la Catalogna è il 19% del Pil, il 25% dell’export, un decimo di territorio, 826 km di coste, sette milioni e mezzo di persone mediamente ricche come danesi e finlandesi, ma anche un debito pubblico di 66 miliardi. La Banca di Spagna minaccia il blocco dei conti, prevede un’uscita catalana dall’eurozona, «perché l’adesione a Bruxelles sarebbe tutta da rinegoziare», calcola il disastro calcistico d’una Liga senza il Barcellona. Da Obama alla Merkel, da Cameron a Sarkozy, gli appelli all’unità nazionale sono arrivati anche da fuori. Solo Renzi, scrive La Vanguardia , s’è mostrato molto prudente: forse «per evitare echi indesiderati in Italia», forse perché non è chiaro chi vinca e che cosa succederà da domani.
La piattaforma dei sovranisti Junts pel Sí, sinistra e destra unite, apre un negoziato parallelo con Madrid e intanto elenca le possibili tappe da qui a marzo 2017: una nuova costituzione, forse un referendum, quindi una banca nazionale e un esercito, infine la dichiarazione d’indipendenza… «Gl’indipendentisti ci fanno credere che verranno recuperati subito 16 miliardi — dice il socialista Josep Borrell —, ma è un’illusione: i costi si moltiplicheranno. Solo per la difesa i catalani dovranno dare tre miliardi, sei volte quel che costa ora». «Banche, industriali, media, tutto l’apparato s’è mobilitato — commenta lo scrittore Josep Ramoneda —. Sono terrorizzati». Lui oggi andrà presto a votare: «Per non essere più considerato un ramoscello dell’albero spagnolo».