martedì 22 settembre 2015

Corriere 22.9.15
La rottura a sinistra che non ha pagato E’ fallita la scissione da Syriza
Unità Popolare è rimasta fuori dal nuovo Parlamento: non è riuscita a superare la soglia di sbarramento del 3%
L’80% dei greci ha votato partiti che vogliono l’euro e sono disposti ad affrontare le riforme
di Federico Fubini


DAL NOSTRO INVIATO ATENE È da più di un secolo che la sinistra radicale in Italia è più internazionalista di qualunque altra forza, e l’intensità con cui vive la saga greca è solo l’ultima prova di una storia gloriosa. Ogni svolta di Syriza, ogni sua scissione, produce a cascata crisi di identità, pellegrinaggi ad Atene, divisioni fra compagni di una vita.
Queste elezioni non hanno fatto eccezione. Syriza, il cartello di sigle a sinistra dei socialisti che Alexis Tsipras ha trascinato al potere, continua a trasmettere le sue vibrazioni fino all’Italia. Decine dei suoi dirigenti si sono staccati dopo il «grande No» nel referendum di luglio, perché il premier ha firmato un duro piano di riforme a Bruxelles. L’onda lunga si è immediatamente scaricata sull’Italia. Pippo Civati e Stefano Fassina, usciti entrambi a sinistra dal Pd di Matteo Renzi, ad Atene si sono trovati su sponde diverse: il primo ha dato fiducia a Tsipras, il secondo ha scelto una linea dell’attenzione verso gli scissionisti greci ostili al memorandum europeo.
Ad Atene metà del comitato centrale di Syriza, la popolarissima (ex) presidente del parlamento Zoe Konstantopoulou e vari uomini di governo hanno rotto con Tsipras e inaugurato un altro partito, Unità popolare. Risultato: meno di un decimo dei voti della «nuova» Syriza , zero parlamentari. Il poster elettorale degli scissionisti era «Ochi», il no all’accordo che in luglio ha incassato il 62% e portato ad Atene decine di politici italiani per tifare e imparare. Eppure la quota di Unità popolare alle elezioni di domenica non arriva al 3%, anche qui in linea con una storia secolare di rotture fra compagni.
Ce n’è abbastanza perché in Italia la sinistra-sinistra italiana rifaccia i conti: l’80% dei greci ha votato partiti che vogliono l’euro e, pur di averlo, sono disposti ad affrontare il programma di riforme chiesto dai governi creditori. «Non ho condiviso la scelta di Tsipras sul memorandum, ma le dimensioni della sua vittoria devono far riflettere — riconosce Stefano Fassina —. Quando milioni di persone si esprimono, non basta dire che si sbagliano: bisogna capire». L’ex viceministro dell’Economia, ormai fuori dal governo e dal gruppo parlamentare del Pd, azzarda una lettura sorprendente per un politico che flirta da un pezzo con l’uscita dall’euro: «In alcuni Paesi europei larghi settori popolari si fidano poco delle loro classi dirigenti nazionali e cercano un vincolo esterno per affrontare meglio i loro problemi», dice Fassina. Suona quasi come una pagina presa da un libro di Mario Monti, l’ex commissario europeo e premier della grande stretta di bilancio del 2012? Fassina precisa: «È vero che su questioni come la corruzione e la lotta all’evasione avere un memorandum europeo può aiutare ad agire. E l’uscita dall’euro non è un obiettivo, semmai può essere un piano B per negoziare meglio con la Germania».
Quanto a Fassina, ex funzionario del Fondo monetario internazionale, resta convinto che per la Grecia l’accordo europeo si confermerà insostenibile: il problema riesploderà. Ma malgrado la sua apertura a Unità popolare, l’ex viceministro dice che in Grecia avrebbe votato per la «nuova» Syriza: andava sbarrata la strada ai conservatori. «Non è che una scissione a sinistra funziona di per sé», osserva.
In questo la pensa come l’altro scissionista del Pd, Pippo Civati: «In Italia c’è spazio a sinistra, in Grecia no», dice l’uomo che inventò la prima Leopolda con Renzi. Quando guarda ad Atene, Civati sta con Tsipras anche dopo l’ultimo giro di valzer del premier greco a Bruxelles. «Ha lottato con i governi creditori finché ha potuto. Ora fa un gioco molto mediterraneo, molto femminile. È come se dicesse agli elettori: “Cosa potevo farci?”. Ed è come se i greci capissero che Tsipras in fondo non è d’accordo con Tsipras».
Quello di Civati è lo stesso approccio di Pablo Iglesias, il leader di Podemos che è tornato a dare appoggio al leader greco dopo qualche settimana di silenzio. Ed è anche la posizione di Maurizio Landini: «Non è un bell’accordo quello con l’Europa, ma Syriza ha fatto quel che ha potuto — sostiene il leader della Fiom e fondatore di Piattaforma sociale —. Tsipras almeno non ha paura di rivolgersi agli elettori, mentre in Italia siamo al terzo governo non eletto».
Quasi fosse un prigioniero che ha tentato una romantica fuga impossibile, il leader greco è ancora nei pensieri della sinistra radicale dell’area-euro. Un altro modello, del resto, per il momento non c’è.