lunedì 21 settembre 2015

Corriere 21.9.15
Le tre minoranze e la sindrome da resa in direzione: «Ma stavolta...»
Dalle aperture di Cuperlo all’ostilità di D’Attorre
di Fabrizio Roncone


Il ministro Maria Elena Boschi invita i colleghi della minoranza Pd ad andare in pizzeria: state un po’ insieme e ragionate, parlate, vi schiarite le idee, così magari una volta per tutte trovate una linea d’opposizione comune (invito buttato lì con un bellissimo sorriso ironico, ma è chiaro che si tratta di un graffio polemico e profondo).
Comunque quelli non ci pensano proprio a prenotare in pizzeria.
Alfredo D’Attorre è attovagliato in una trattoria di Milano («Bresaola, rucola e parmigiano: un piatto semplice e squisito»).
Miguel Gotor pranza in famiglia.
Gianni Cuperlo: spuntino veloce, deve partire subito per Modena.
Insomma restano tutti in ordine sparso anche alla vigilia di questa riunione della direzione del partito. Perciò ci parli e trovi stati d’animo diversi. Ci parli e però ti sembra di averci già parlato.
Sensazione precisa: ogni vigilia, ormai da mesi, è scandita da toni malmostosi, ruvidi, un po’ minacciosi; ma poi quando Matteo Renzi lascia il microfono dopo la solita ora abbondante di intervento — sempre in camicia, parlando sempre a braccio, sempre sicuro e disinvolto — tutti regolarmente paiono più o meno placati (chi soddisfatto, chi rassegnato, chi al massimo va via scuotendo la testa).
Andrà così anche oggi?
Oppure la riforma del Senato può sortire colpi di scena?
«È vero... sì, in passato è spesso successo esattamente così. Toni bruschi all’inizio, e poi facce rassegnate. Ma stavolta...» (questa è la voce di Gianni Cuperlo).
Stavolta cosa?
«Beh, credo che questa riunione nella sede del collegio Nazareno possa davvero segnare un momento di svolta per il Paese: e lo dico perché la mediazione studiata da Chiti, che mi risulta essere già stata sottoposta all’esame del governo, a me sembra eccellente...».
Su quella proposta può esserci un accordo?
«Assolutamente sì. La proposta di Chiti mi sembra contenga un ragionevole compromesso».
Ecco, appunto: Cuperlo si dichiara molto dialogante; e gli altri? I bersaniani?
Forse è opportuno sentire il senatore Miguel Gotor (okay, va bene: è il bersaniano più intervistato, ma c’è un motivo. Il fatto è che ci sono moltissimi politici capaci di celare sentimenti, lacrime, sudore da panico. Gotor, no: Gotor fu arruolato da Pier Luigi Bersani per coprire il ruolo dell’intellettuale non organico, forse per fare persino il ministro della Cultura — studioso di santi, eretici e inquisitori, filologo di Aldo Moro, docente di Storia moderna all’università di Torino — ma non ha mai subito una reale mutazione genetica; è fondamentalmente rimasto un uomo di cultura che fa politica. E questo lo rende autorevole, leale, credibile).
«Guardi, sì: è abbastanza vero che molte direzioni del partito hanno avuto vigilie tumultuose ed esiti a dir poco deludenti. Però io la invito a tener conto di un paio di fattori: primo, i numeri pesano e se sei minoranza, in direzione, minoranza alla fine resti. Secondo: consideri pure quell’elemento, in qualche modo condizionante, chiamato “disciplina di partito”...».
Quindi lei ritiene che...
«No, aspetti... Detto tutto questo, credo sia giusto ricordare come, almeno su una grande questione come l’Italicum, noi abbiamo mantenuto alto e forte il nostro dissenso. Perché no, dico: a Palazzo Madama 24 senatori del Pd non votarono e alla Camera, quando fu imposta la fiducia, non votarono personaggi del calibro di Bersani, Epifani, Letta... e un giovane come Roberto Speranza non esitò, con straordinario senso di coerenza, a rinunciare al prestigioso incarico di capogruppo».
Vero. E stavolta che in ballo c’è la riforma del Senato?
«La nostra posizione è nota... Nel testo attuale è scritto: “I consigli regionali eleggono i senatori”. Ecco, noi chiediamo che siano i cittadini e non i consigli regionali ad eleggere i senatori: poi che i consigli regionali ratifichino pure, proclamino, o prendano atto della volontà popolare...».
Non chiedete solo questo...
«Se si riferisce alla richiesta di abbassare anche il numero dei deputati portandolo a 500, le do una notizia: non è una novità. Presentammo un emendamento già nello scorso mese di luglio...».
Com’è Gotor?
Come sono i bersaniani?
Diciamo che non sembrano disposti a cedere.
«Mah...» (D’Attorre, che ha finito la bresaola e sta al caffè).
«Cosa vuole che le dica: queste direzioni del partito trasmesse in streaming non sono più luoghi di confronto politico. Servono solo a Renzi per fare il suo show di un’ora. La verità è che l’impianto complessivo delle riforme renziane andrebbe abolito, perché è peggiorativo... ma abolirle non si può. Perciò proveremo a correggere qualcosina... magari a Palazzo Madama, certo non al Nazareno, con qualche senatore di buona volontà» (D’Attorre si laureò alla Normale di Pisa in Filosofia, con un dottorato in Filosofia e Scienze umane).