Corriere 1.9.15
Verso la riforma tra conflitti e manovre trasversali
di Massimo Franco
La precisazione del presidente del Senato, Pietro Grasso, arrivata ieri da New York, è inusuale e insieme significativa. Fa capire quanto rimanga incerta la riforma dell’assemblea di Palazzo Madama; e come qualunque scelta data per scontata, oggi appaia strumentale e tesa ad alimentare manovre torbide. Lo conferma la smentita arrivata ieri sera dal Quirinale su una qualunque comunicazione di Grasso al capo dello Stato, Sergio Mattarella. Un compromesso non solo non è in vista, ma probabilmente non è stato nemmeno tentato.
E questo ammanta la discussione di un alone di nervosismo che rendono tutti guardinghi. Le parole irritate di Grasso sulla «fantapolitica» sono figlie di un contesto gonfio di tensioni. Ma eccessiva appare anche l’attenzione riservata ad un argomento che appassiona poco l’opinione pubblica: benché sia presentato dal governo e dai suoi nemici quasi come una questione di vita o di morte. È noto che il presidente del Senato considera inevitabile un nuovo voto sull’articolo 2: quello sul modo in cui saranno eletti i senatori.
Eppure spera ancora che arrivi un segnale per scongiurare in extremis una rotta di collisione tra maggioranza e minoranza del Pd; e di impedire forzature che come minimo sancirebbero la fine dell’unità del partito di Matteo Renzi. Per ora nessuno sembra pronto a rinunciare a qualcosa. La mossa compiuta ieri da Grasso facendo sapere che non ha ancora deciso nulla è il rifiuto di essere iscritto d’ufficio ad un fronte antigovernativo e antiriformista; e la rivendicazione di un ruolo da arbitro. La preoccupazione è più acuta mentre Forza Italia si schiera per premio di coalizione ed elezione diretta dei senatori; dunque, al fianco degli avversari di Renzi.
Ma quanto avviene è la metafora di uno scontro in incubazione. Si apre una fase nella quale sarà difficile salvare le posizioni mediane, preludio di scissioni e conflitti istituzionali. Il Senato diventa dunque il parafulmine di una resa dei conti politica e culturale. Viene scelto quel terreno perché i rapporti di forza in quel ramo del Parlamento non sembrano a favore di Renzi, nonostante la sicurezza che ostenta. Ma sarebbe un pessimo viatico in vista di un autunno segnato da crisi economica ed emergenza immigrazione.
Una guerra nel Pd mentre si registra lo scarto tra le aspettative create dal governo ed i risultati ottenuti, sarebbe un propellente per il populismo. Diventa chiaro che la riforma del Senato è caricata di significati impropri. Il Movimento 5 stelle dice che è tutta «da gettare nel cestino», per non offrire sponde a nessuno. Per Renzi, il pericolo non viene dalla minoranza del Pd; né quest’ultima può imputare al premier le cose che non vanno, e sperare nella sua caduta. Eppure, entrambi appaiono intenzionati a fare e farsi del male .