martedì 1 settembre 2015

Corriere 1.9.15
L’equilibrio da garantire con la riforma del Senato
di Stefano Passigli


Il dibattito sulla riforma costituzionale, incentrato sull’elettività del Senato e sull’emendabilità dell’art.2, è largamente fuorviante. Da un lato, infatti, si nega che il testo dell’art.2 sia stato rilevantemente emendato dalla Camera, laddove è evidente che l’elezione dei senatori «dai» consigli regionali (elettorato attivo in capo ai consiglieri) differisce comunque da un’elezione «nei» (che appare limitare l’elettorato passivo ai consiglieri), il che rende il testo nuovamente emendabile. Dall’altro, si dimentica che i regimi democratici conoscono Parlamenti sia monocamerali che bicamerali, e forme di governo sia presidenziali che parlamentari, nonché una grande varietà di leggi elettorali sia proporzionali che maggioritarie. Non si può dunque affermare — se non con riferimento a casi concreti — che una legge elettorale, o che la presenza o meno di un sistema bicamerale, o che una forma di governo parlamentare piuttosto che presidenziale, o che nel caso italiano l’elettività del Senato, assicurino una maggiore democraticità. Ma si può, e anzi si deve, sottolineare che tutti i regimi democratici si fondano su di un essenziale comun denominatore: l’equilibrio tra poteri.
È proprio questo equilibrio tra poteri che viene oggi posto a rischio dal combinato effetto dell’Italicum e del mutato rapporto anche numerico tra Camera e Senato: il rapporto di 630 deputati a 100 senatori, e l’elevatissimo premio di maggioranza, danno infatti al partito vincitore la possibilità, dopo infruttuose votazioni a maggioranza qualificata, di eleggere il Capo dello Stato a maggioranza dei 3/5 dei votanti, quindi praticamente da solo. Ma si ricordi che il Presidente nomina 5 giudici costituzionali e che almeno altri 3 sono nella disponibilità della maggioranza politica, il cui leader — oltre a nominare 100 capilista e controllare il Legislativo e le nomine nelle Autorità indipendenti — diviene così l’assoluto dominus anche delle magistrature di garanzia.
A questa mancanza di «pesi e contrappesi» non porterebbe certo rimedio il mero mantenimento di un Senato elettivo ma immutato nella composizione e nelle funzioni previste dalla riforma. Altri possono essere più efficaci rimedi, come ad esempio alzare a 2/3 il quorum per l’elezione del Presidente (giungendo sino a prevedere, in caso di prolungato stallo, lo scioglimento delle Camere ); o mantenere l’attuale rapporto di 2 a 1 tra Camera e Senato elevando a 200 i senatori (di cui 100 magari elettivi) e tagliando a 400 i deputati, diminuendo così sia il peso del premio di maggioranza che il numero dei capilista nominati, ma soprattutto evitando di consegnare al solo partito vincitore il controllo degli organi di garanzia.
Altre ancora potrebbero essere le misure da introdurre assieme all’abolizione del bicameralismo perfetto per garantire un effettivo equilibrio tra poteri. Un equilibrio che in democrazia è sempre il risultato di una divisione e non di una concentrazione del potere. Per troppi decenni i nostri governi hanno sofferto di una debolezza che affondava le radici nel sistema dei partiti piuttosto che nel sistema istituzionale, come invece ha proclamato l’errata vulgata di quest’ultimo ventennio. Grazie al combinato effetto di decreti legge e leggi delega, maxi emendamenti, e voti di fiducia, il nostro è al contrario uno dei governi più forti d’Europa. Il mantra della debolezza dell’Esecutivo è stato un alibi per una classe politica spesso incapace di governare, e proprio l’attivismo e i primi risultati del governo Renzi mostrano che i nostri esecutivi sono già in grado di governare malgrado l’attuale bicameralismo. Si elimini pure quest’ultimo, ma si mantenga quel supremo bene che è l’equilibrio tra poteri, magari cogliendo l’occasione per ripensare il nostro sgangherato regionalismo. Tutto questo richiederà più dei tempi preventivati, ma permetterà di procedere ad una equilibrata riforma senza inutili forzature, anzi con le correzioni necessarie ad approvarla con una più ampia e solida maggioranza scevra da apporti trasformistici. Come è giusto sia per una riforma costituzionale dell’importanza di quella proposta dal governo Renzi.