domenica 13 settembre 2015

Corriere 13.9.15
Londra, i laburisti virano a sinistra Corbyn: disuguaglianze grottesche
di Michele Farina


LONDRA «Aprite il vostro cuore e la vostra mente». La voce di Jeremy Corbyn risuona sotto il Big Ben in un pomeriggio di sole. È la prima apparizione pubblica del nuovo leader laburista, al termine della marcia per i rifugiati. La camicia azzurra e la giacca (eccezionalmente) scura, la stessa che portava questa mattina davanti ai compagni-nemici, i parlamentari che a grande maggioranza (220 su 240) non lo volevano, i tre rivali asfaltati con il 59,5% dei voti (percentuali che neanche il Tony Blair della Cool Britannia) nel più incredibile capovolgimento di fronte nella storia della sinistra britannica.
Piazza del Parlamento gremita. Migliaia di persone hanno sfilato per chiedere al governo una politica di maggiore accoglienza per chi fugge dalla guerra. Corbyn, campione della Poor Britannia, si sente a casa in questo prato davanti a Westminster dove ha manifestato spesso in 32 anni da deputato. Più a suo agio fuori che dentro l’aula, dove per tutti era quello «delle cause perse», il ribelle sinistrorso e ingrigito degli ultimi banchi.
Tutto è cambiato nel giro di un’estate. Da oggi Jeremy Corbyn, 66 anni, pacifista, anti-monarchico, eurotiepido, socialista o populista, torna alla Camera dei Comuni e si siederà davanti. Ha già detto che voterà contro il piano del governo per bombardare l’Isis in Siria.
La vittoria a valanga del vecchio Canottiera Rossa complica i piani di chi in Parlamento punta a defenestrarlo. Almeno sei parlamentari si sono già dimessi dal governo ombra. Un leader per caso, che a giugno aveva accettato a malincuore di correre come rappresentante della sinistra («è il mio turno») ora deve forgiare quasi dal nulla una squadra. Non ha mai avuto un incarico di governo. Naturale che nel suo primo discorso abbia perorato la causa dell’unità. E «un nuovo modo di fare politica». Parole d’ordine: equità, giustizia, lotta alla povertà «che non è giusta né inevitabile». Non possiamo «andare avanti in questo modo, con livelli grotteschi di disuguaglianza e povertà». Il frugale Corbyn («spendo poco, giro in bici») ha detto che anziché pensare ai nuovi grattacieli occorre trovare soluzioni per chi non si può permettere neanche un buco in affitto.
Ha sorpreso tutti l’ampiezza di un trionfo che pure, negli ultimi giorni, sembrava scontato. Che distacchi: Andy Burham, ex ministro della Salute, lontano secondo con il 19%. Yvette Cooper terza con il 17%. La super-blairiana Liz Kendall ultima con il 4,5%. Corbyn ha ottenuto la maggioranza anche nei «blocchi» storici del partito: gli iscritti, i sostenitori legati ai sindacati. E ha stravinto (con l’85%) tra le facce nuove delle «3 sterline un voto», coloro che per pochi euro hanno ottenuto per la prima volta il diritto di scegliere il nuovo leader. Una sorta di «primarie aperte», riforma chiesta (ironia della sorte) dai blairiani per diluire il potere dei sindacati.
Tre sterline e centomila voti per Corbyn, ecco il risultato della riforma promossa da Ed Miliband, il leader che si è dimesso dopo la batosta del voto di maggio. L’hanno accusato di aver spinto il partito troppo a sinistra, aprendo la strada al trionfo dei conservatori di Cameron. Adesso Ed si prende una piccola rivincita. Dando «il suo pieno appoggio a Jeremy» e alle sue politiche egualitarie. Mentre dal fronte governativo tuona il ministro della Difesa David Fallon: «Corbyn è una minaccia per la sicurezza del Regno Unito».
Ieri sera in un pub vittoriano a due passi dal Parlamento, tra boccali di London Pride, l’astemio e vegetariano Jeremy ha modicamente festeggiato la vittoria. Tanti giovani, qualche veterano con il pugno levato, la moglie in lacrime, l’euforico fratello meteorologo che non crede al global warming. E una frase che diventa titolo sui giornali del mattino: «Ridevano quando dicevo che sarei diventato il leader dell’opposizione. Adesso non ridono più».